Periscopio – Semplici domande

lucreziDopo aver scritto il mio commento per oggi, ho appena appreso, alle ore 3 del mattino, che alla signora di cui parlo a seguire è stato vietato l’ingresso nel nostro Paese. Mi stavo accingendo a modificare l’articoletto, quando ho cambiato idea, e ho pensato di presentarlo così come lo avevo scritto, in modo che mi valga da monito e incoraggiamento: mai disperare. Un grazie di cuore alle autorità italiane.
Questo, dunque, il mio (ex) contributo:
Ho esposto più volte, purtroppo, il mio persistente, radicato pessimismo riguardo alla possibilità di una soluzione pacifica e concordata, sia pure in tempi lontani, del conflitto arabo-israeliano. Un conflitto, a mio avviso, che ha una radice, una storia, delle ragioni e dei contendenti completamente diversi da quelli che la maggior parte dei soggetti coinvolti e degli osservatori, in buona o cattiva (o pessima) fede, mostra di voler credere. E ho già spiegato perché ritengo che questa visione profondamente deformata del problema non sia soltanto un difetto di percezione e di analisi, ma anche parte integrante del problema stesso. Se uno è malato di diabete, e il medico continua a consigliargli delle aspirine per l’influenza, è piuttosto difficile che possa guarire. Nel nostro caso, il malato non è il Medio Oriente, ma il mondo, in quanto la malattia che affligge quella terra bellissima e martoriata è la stessa che intossica tante altre zone del pianeta, vicine e lontane, dalla Persia alla Malesia, dalla Siria alla Russia e all’Italia. È una malattia antica, che ha già mietuto milioni di vite, e che – volendo evitare una parola ormai inflazionata – ha un nome preciso: mancato riconoscimento del popolo ebraico ad avere una sua collocazione, uguale tra uguali, nel consesso delle nazioni. Perché gli ebrei possono essere facilmente tollerati, salvati, perdonati, possono essere oggetto di amicizia, amore e riconciliazione; ma che siano considerati soggetti attivi, e non soltanto passivi, della storia, e non soltanto come singoli individui, ma anche come popolo, nazione, stato, è tutt’altro discorso. Per molti, riempire quella piccola casella, sul mappamondo – non importa quanto grande, con quali contorni, con quali colori -, rappresenta uno scandalo, un assurdo, una vergogna. Una reazione che non ha niente a che fare con la geografia e la politica, ma che affonda le sue radici in zone oscure, tenebrose della memoria, dell’identità e della coscienza. Zone che non si devono guardare, che si fa finta che non esistano, perché è molto più comodo, più facile, più rasserenante pensare che gli uomini siano tutti buoni e razionali, al di là di qualche isolato cattivone di passaggio, che sarà presto neutralizzato o ammansito, come il lupo di Gubbio.
E il medico chi è? È sempre lui, il nostro amato mondo, che molto spesso, di fronte alla malattia, non solo non dimostra la benché minima voglia di volerla curare, ma dà anzi segni di vivo compiacimento, facendo di tutto perché il male avanzi. E allora non dà neanche l’aspirina, ma guarda compiaciuto i livelli del glucosio nel sangue, per continuare a somministrare sempre nuove doti di zucchero. Perché – e questo è il punto fondamentale – quella che per alcuni è una malattia per altri non lo è affatto. E, anche se il diabete fa male, lo zucchero resta comunque buono.
Sì, lo so che il mio tetro pessimismo è sbagliato, chiedo scusa. Solo propongo di fare un piccolo test per verificare quali siano, realisticamente, le possibilità concrete di una soluzione negoziata e pacifica del conflitto; e quanto, quindi, io mi sbagli. Scelgo, a caso, un episodio di cronaca, tutto sommato minore, tra le migliaia che sarebbero disponibili, e invito a usarlo come, diciamo, “pax test”, ossia come indicatore atto a misurare le reali possibilità di pace. Sta per venire in visita in Italia, in questi giorni, una vivace signora di mezz’età, che ha acquistato molta notorietà, in passato, con dirottamenti di aerei e cose del genere, e continua a vantarsi di quelle gesta, stappando una bottiglia di champagne ogni volta che qualche civile israeliano viene sgozzato. Una signora che, come alcune vecchie ‘star’ del cinema, insegue i paparazzi (che prima inseguivano lei), e cerca in ogni modo di farsi fotografare e di rilasciare qualche intervista, piena di nostalgia, sul suo glorioso passato. E chiedo quindi di indicare la vicinanza o lontananza di una pace possibile sulla base delle risposte da dare a queste semplici domande: 1) Quanto le posizioni della suddetta signora sono state condannate, o almeno rifiutate, dalla dirigenza palestinese, siriana, libanese, iraniana ecc. ecc. (quelli, cioè, con cui, domani o dopodomani, si dovrà fare la pace)? 2) Quanta indignazione si è sollevata, nel nostro Paese, per la presenza della suddetta? Quanti hanno protestato, hanno chiesto che le sue manifestazioni venissero vietate? 3) Quanto si è discusso, quanto si discute sul ruolo esercitato da persone come lei, e da quelli che le sostengono, sul problema mediorientale? Molto, poco, per nulla? 4) Se la signora ha dei supporter, quanti sono a pensare, invece, che il posto più appropriato dove dovrebbe parlare sarebbe solo la sala-incontri di una prigione? Ecco, la vicinanza-lontananza della pace, secondo me, è tutta nella risposta a queste domande. È una questione, in fondo, molto semplice.

Francesco Lucrezi, storico