Sfide continue

Sara Valentina Di PalmaChiedo perdono, ne ho già parlato ma merita tornarci sopra. Penso a quella famigliola che trasferendosi in città di medie dimensioni da una tanto amena quanto scomoda campagna, ha perso in concilianti idilli con il mondo uscendo di casa di prima mattina, e guadagnato in ore di sonno e comodità. Ha lasciato una keillà amorevole ma piccola per trovarne una lontana ma più grande e con più attività. Si è illusa che spostandosi da una scuola abbastanza remota di una piccola cittadina di provincia avrebbe trovato un sistema scolastico più organizzato ed efficiente. Il compromesso in fondo è insito in ogni scelta realistica.
E questo è il punto. Passi la bizzarria tutta nostrana di dover confermare, prima di ogni nuovo anno scolastico, di non volersi avvalere dell’insegnamento della religione cattolica, nell’eventualità che uno cambi religione ogni anno (un attimo di sconcerto per essere i primi, questa scuola centrale e frequentata, a non seguire le ore di religione, avanzando pure la pretesa di non usufruire di orario ridotto ma di avere un insegnante per l’alternativa alla religione cattolica). Passi anche che ogni anno, prima delle vacanze invernali, ci sia lo spettacolo di Natale (chiamiamolo con il suo nome).
La famigliola si è trovata tuttavia a dover almeno storcere il naso di fronte al fatto che i canti natalizi prescelti fossero incentrati sul bambinello tra il bue e l’asinello, piuttosto che su allegri motivetti internazionali dal sapore più laico (che so, Let is snow, che tra l’altro neppure menziona esplicitamente il Natale pur evocandone l’atmosfera, o White Christmas, entrambe apprezzabili anche perché scritte da compositori ebrei).
La famigliola si è fatta cogliere impreparata il primo anno ma non il secondo, correndo ai ripari alle prime avvisaglie (mamma, a scuola hanno iniziato a farmi cantare i canti su Gesù!) con il chiarire, non più solo a posteriori con l’insegnante ma risalendo al dirigente scolastico, come alcune attività, sempre nell’ottica del compromesso e dell’integrazione dei ragazzi, siano accettabili, e dunque si possa anche cantare Jingle bells, ma non Tu scendi dalle stelle, ad esempio – sa, noi abbiamo una certa sensibilità all’antigiudaismo cristiano come al proselitismo forzato, provi a capire…
Eppure, in questo periodo dell’anno la fatica è continua e sta nello stillicidio quotidiano, nella frenesia che porta a spennellare di presepi e angioletti ogni ambito scolastico, dai temi in classe ai (sembra difficile crederlo) problemi di aritmetica. Mi è stato raccontanto che proprio nei giorni scorsi uno dei bambini di questa famigliola è tornato da scuola, dove aveva avuto le due ore di alternativa alla religione, raccontando di aver confezionato con l’insegnante decorazioni natalizie, perché la maestra gli aveva chiesto aiuto.
Ripenso a chi ormai oltre trent’anni fa già si avvaleva dell’alternativa alla religione, in un’altra città di medie dimensioni, insieme ad altri sette otto bambini di varie età e provenienze dai cinesi agli italiani laici, ed in quell’ora c’era tutto un mondo popolato della vita (e della religione) di coetanei che vivevano nel resto del mondo e in molti modi andavano a scuola, mangiavano, giocavano e pregavano. Erano lezioni preparate con cura e seguendo un programma, coinvolgenti, belle, rimaste impresse dopo decenni.
La strada fatta in questi decenni, se penso invece all’esperienza della famigliola, sembra procedere a ritroso verso il passato, ed il sapore del compromesso non sa più tanto di realismo ed integrazione ma di sfide continue e sempre nuove che lasciano l’amaro in bocca.

Sara Valentina Di Palma