Balfour, 100 anni di legittimità

“Egregio Lord Rothschild, è mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni dell’ebraismo sionista che è stata presentata, e approvata, dal governo. ‘Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni’. Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione a conoscenza della federazione sionista”.
È il 2 novembre del 1917 quando l’allora ministro degli Esteri del governo inglese Arthur Balfour invia questa lettera a Lionel Walter Rothschild. Una lettera che passerà alla storia come Dichiarazione Balfour e che segna il riconoscimento ufficiale della legittimità dell’aspirazione del movimento sionista a costituire il proprio Stato nella patria millenaria del popolo ebraico.
A cent’anni dalla Dichiarazione, un’occasione di confronto organizzata nella sede del Centro Bibliografico UCEI ha cercato di ricostruire profili e momenti chiave di quei giorni. Introdotti da Raffaella Di Castro, e dopo un saluto della presidente dell’Unione Noemi Di Segni e dell’ambasciatore israeliano Ofer Sachs, sono stati i giornalisti Fiamma Nirenstein e Massimo Lomonaco e gli storici Claudio Vercelli e Francesco Lucrezi a ricostruire “storie, percorsi e personaggi” di un’epoca spesso citata ma non così approfonditamente conosciuta. Con uno sguardo sia alle premesse che portarono alla Dichiarazione e alla successiva fondazione dello Stato di Israele, sia alla vicenda meno note di Nili. E cioè un gruppo clandestino ebraico che durante la Prima Guerra Mondiale da Zichron Yaakov passò importanti informazioni agli inglesi che avanzavano dal Sinai contro i turchi e gli alleati tedeschi. Vicenda cui lo stesso Lomonaco ha dedicato nel 2002 un libro pubblicato dalla casa editrice Mursia, Nili appunto, di cui sono state proposte alcune letture in musica con la partecipazione di Roberto Attias, Luisa Basevi, Emanuele Levi Mortera, Evelina Meghnagi e degli studenti del Liceo Renzo Levi della Comunità ebraica di Roma.
“Attraversiamo un momento di grave delegittimazione di Israele, praticamente quotidiana. È il Bds, il movimento di boicottaggio che da tempo costituisce una minaccia. Ma è anche il judoka israeliano che ad Abu Dhabi, perché di proposito non gli suonano l’inno, è costretto a cantarsi l’Hatikwa da solo. La Dichiarazione – afferma Nirenstein – resta la base di legittimazione più importante su un piano internazionale”. E significativa la storia del suo protagonista, che Nirenstein definisce “non un opportunista, ma un uomo mosso da autentica passione per le vicende del popolo ebraico: ne conosce la lingua, si informa, è convinto che quella terra gli spetti”. Per Lucrezi è fondamentale riconoscere l’importanza di questo intervento da parte del governo inglese, ma al tempo stesso non va dimenticata “la successiva infamia del libro bianco”. E cioè l’ingresso centellinato nell’allora Palestina mandataria durante gli anni terribili delle persecuzioni nazifasciste. “Così facendo gli inglesi abbandonarono gli ebrei d’Europa al loro destino. Va ricordato il bene, ma va anche ricordato il male” afferma Lucrezi.
Focalizzato sulla figura di Chaim Weizmann, leader sionista e primo presidente di Israele, l’intervento di Vercelli. È una vicenda la sua che abbraccia uno squarcio rilevante di storia europea (ebraica e non solo), a cavallo tra seconda parte dell’Ottocento e prima parte del Novecento. ”Grazie a Weizmann – riconosce lo studioso – si realizza una significativa transizione per i gruppi sionisti. L’attivismo diventa struttura organizzata, con un classe dirigente di alto livello che si forma proprio attorno a Weizmann”. Per Vercelli è anche importante sottolineare un punto: “Certamente fu anche risposta all’antisemitismo, ma il sionismo ha una sua identità definita a prescindere. Sarebbe sbagliato definirlo soltanto in risposta all’odio”. A concludere il confronto le parole di Lomonaco, che ha raccontato i momenti salienti di Nili (“Una storia che non solo sembra un film, ma pure opera di un grande regista”) e auspicato una maggiore consapevolezza del ruolo fondamentale che svolse in quel periodo.

(4 dicembre 2017)