Torino – Giorgio Olivetti,
progetti di Comunità

20171202_181412Nel lessico famigliare dei membri della Comunità ebraica di Torino si distingue sempre tra “Tempio grande”, utilizzato per le festività più importanti, e il “Tempio piccolo”, dove la vita liturgica anima le sue sale quotidianamente. Le sue dimensioni più ridotte costituiscono un importantissimo luogo di aggregazione per gli ebrei torinesi e se il “Tempio piccolo” è fondamentale per le funzioni religiose, i due spazi limitrofi, Centro Sociale che ospita la biblioteca e Sala Adei, sono centrali per la vita stessa della Comunità. Tutti e tre questi spazi collocati nella zona sotterranea rispetto alla Sinagoga maggiore, sono stati ripensati e restaurati dall’ingegnere e architetto Giorgio Olivetti. Ad un anno dalla sua scomparsa la Comunità insieme all’Archivio Terracini hanno portato a termine una mostra dedicata ai suoi tanti progetti per restituire un’immagine di un Olivetti poliedrico.
Giorgio Olivetti nasce il 10 maggio del 1929 in una famiglia ebraica di tradizione liberale. Già il padre, Guglielmo, si era incaricato della ristrutturazione della sinagoga distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Tramite le carte cedute dalla famiglia Olivetti all’Archivio Terracini, la mostra ripercorre per intero quella che una delle curatrici, Lucetta Levi Momigliano, ha definito “biografia intellettuale”: dall’infanzia si passa agli anni della guerra e al 1942 quando la famiglia di Giorgio si vede costretta a sfollare prima nelle Valli di Lanzo, poi in Val Sesia. Infine il ritorno a Torino e la ripresa del Liceo scientifico. “Gli anni dell’Università sono vissuti intensamente non tanto per le discipline e le problematiche offerte dal Politecnico nel corsi di Laurea in Ingegneria civile, quanto per l’immersione di Giorgio nell’ambiente torinese dei coetanei più sensibili alla cultura delle avanguardie artistiche e alle proposte di un impegno attento alla dimensione politico-sociale”. Così scrive Lucetta Levi Momigliano sul catalogo della mostra. Sempre dal catalogo: “Sul versante della professione di architetto, dopo alcune esperienze presso importanti studi professionali torinesi, Giorgio, alla fine degli anni Sessanta, scelse di intraprendere un’attività sua e di dedicarsi all’architettura d’interni seguendo il proprio gusto personale per lo spazio e il colore, i materiali e l’arredo”. Il vero esordio avviene con l’incarico datogli dalla Comunità ebraica di ristrutturare e ripensare gli spazi sotto la grande Sinagoga moresca. Il 22 dicembre del 1970 viene infatti inaugurato il tempietto e gli spazi della biblioteca. “Dopo questa importante affermazione in ambito non solo ebraico, Giorgio si dedicherà degli anni Settanta e Ottanta ad interessanti proposte per allestimenti di saloni espositivi”, continua Momigliano. Molti dei progetti e dei lavori da lui realizzati vengono ripercorsi all’interno della mostra grazie a schizzi e disegni ritrovati nell’Archivio. Molte fotografie vengono invece da privati. Una vita intensa dove la passione per il suo lavoro ha rappresentato il fulcro primario, una carriera che Elena Dellapiana, professore associato di Storia dell’architettura e del design al Politecnico di Torino, nonché membro del Comitato scientifico, ha definito “molto poco accademica ma estremamente sfaccettata, in linea con lo spirito di Olivetti, un curioso onnivoro”. Ed ecco che a un anno dalla sua scomparsa, avvenuta il 21 novembre 2016, proprio i locali dai lui ripensati ospitano una mostra che lo stesso presidente della Comunità ebraica di Torino, Dario Disegni, ha definito “un doveroso omaggio alla sua memoria”. Poi ha ricordato come gli ambienti ipogei un tempo fossero dedicati al forno per la cottura del pane azzimo per Pesach e come l’inaugurazione dei locali rinnovati nel 1970 abbia rappresentato “una svolta radicale per ebrei torinesi”.
Significative anche le parole di Benedetto De Benedetti, presidente dell’Archivio Terracini: “La mostra e il catalogo non sarebbero stati realizzati se non ci fosse stato un gruppo di amici e di professionisti che si è dedicato intensamente a questo progetto, riunendosi, confrontandosi, raccogliendo testimonianze, cercando e ordinando documenti, consultando archivi e analizzando scientificamente il tutto”.

Alice Fubini