MEMORIA “Ricordare ostinatamente”, il monito di Max
Max Mannheimer / UNA SPERANZA OSTINATA / Add Editore
Una vita spesa a spiegare alle nuove generazioni che, se non sono loro responsabili degli orrori che perpetrati dall’Europa settant’anni fa, su di loro ricade tuttavia il dovere di impedire che essi si ripetano. Una testimonianza scritta per raccontare ciò che quegli orrori furono. “Una speranza ostinata” ripercorre le esperienze di una delle più instancabili voci nel ricordare al mondo e in particolare alla Germania cosa fu la Shoah, Max Mannheimer, scomparso nel 2016. L’opera, pubblicata da Add Editore, è stata presentata la scorsa settimana al Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” (nell’immagine, scattata da Giovanni Montenero).
“È la scoperta di un grande vecchio ancora ragazzo, apparentemente timido eppure sicuro di sé nel profondo, riservato e nello stesso tempo galante, intimo nel rapporto con la morte ma non per questo meno affamato di vita. Un libro dove l’ammonimento non si stacca mai dalla speranza”, si legge nella prefazione a firma di Paolo Rumiz, che era presente all’evento triestino insieme al traduttore Claudio Cumani, laureato in fisica all’Università di Trieste, impiegato all’ESO (European Southern Observatory), l’organizzazione astronomica europea con sede a Garching bei München in Germania e i telescopi sulle Ande cilene.
L’opera è stata scritta nella prima metà degli anni Sessanta. Max Mannheimer deve essere operato alla mascella. L’assistente del medico dimentica per diversi giorni di consegnargli il risultato degli esami e Max si convince di essere condannato. Si rende conto di non avere mai parlato alla figlia delle sue esperienze nei campi di concentramento, «per difendere lei e me stesso». Decide quindi di scrivere le sue memorie. In pochi giorni butta giù il testo, lavorando come un pazzo anche di notte, con la paura di morire prima di terminare il lavoro. Un mese dopo le dimissioni dall’ospedale, consegna alla figlia le pagine, come si spiega sulla copertina.
“Questo testo rappresenta un’occasione preziosa per gli insegnanti delle scuole medie, inferiori e superiori. Nel restituire una vicenda personale toccante, nel mostrare come l’Europa sia scivolata lungo «un piano inclinato» dentro l’Olocausto, fornisce non solo un dizionario minimo dell’abominio nazista, ma anche un dizionario minimo di cultura ebraica – ha sottolineato lo scrittore Paolo Giordano – Senza il possesso di entrambi è difatti impensabile che i ragazzi si avvicinino oggi a un intervallo buio di storia che a molti di loro appare remoto e surreale”.