Israele, la voce degli Italkim “Attendiamo le parole di Trump, ma Gerusalemme è già la capitale”
Le parole che Donald Trump sceglierà nel suo annuncio su Gerusalemme saranno decisive per capire le sue intenzioni: secondo indiscrezioni giornalistiche, il presidente Usa riconoscerà in queste ore ufficialmente la città come capitale d’Israele ma per quanto riguarda lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme ci sarà da attendere mesi, se non anni. “Trump è un personaggio imprevedibile – spiega a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme – E questo annuncio ha il sapore di un diversivo dalla caccia all’uomo sulla questione russa in cui è coinvolto. In ogni caso attendiamo le sue parole che potrebbero creare un danno se le teste calde in Medio Oriente decidessero di mettersi in azione”. I palestinesi hanno annunciato tre giorni di protesta e dal mondo arabo e non sono arrivate critiche o parole bellicose: è il caso della Turchia di Erdogan che ha minacciato di rompere i legami – appena ricuciti – con Israele se Trump (nell’immagine con il Presidente d’Israele Reuven Rivlin durante la sua visita a Gerusalemme della scorsa primavera) dovesse procedere a spostare l’ambasciata americana. “Vedremo se Erdogan darà effettivamente seguito a questa minaccia ma intanto sono scettico sull’opportunità di questa mossa del presidente Usa – sottolinea Beniamino Lazar, presidente del Comites (Comitati degli Italiani all’Estero) di Gerusalemme – Parlo a titolo assolutamente personale: mi fa piacere da una parte il riconoscimento ma dall’altra non posso dire di essere contento di questa iniziativa. Sono infatti preoccupato – sottolinea Lazar – che possano iniziare nuove violenze e non è un caso se Israele ha rinforzato in queste ore le misure di sicurezza. Vedremo che cosa dirà Trump e nei prossimi giorni, soprattutto venerdì, cosa faranno i palestinesi”. Sul fronte palestinese e arabo il problema è soprattutto dal punto di vista simbolico, con gli occhi puntati sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, luogo sacro per tutti musulmani: già in estate polemiche pretestuose sui controlli israeliani nei pressi del luogo, avevano incendiato gli animi sul fronte arabo e le parole di Trump potrebbero fare nuovamente gioco agli istigatori all’odio. “Anche se Trump dovesse annunciare che Gerusalemme è la capitale dello Stato ebraico mi pare che la cosa sposti ben poco – l’analisi dell’ambasciatore Sergio Minerbi, assieme a Della Pegola e Lazar, membro della Comunità degli Italkim (gli italiani d’Israele) – Sono scettico sull’opportunità di quella che mi sembra un’azione dichiarativa. Mi pare sia lettera morta e non risolva nulla sul piano concreto a meno di promettere qualcosa in cambio ai palestinesi”. Trump inoltre probabilmente durante il suo annuncio firmerà anche la proroga alla legge approvata dal Congresso americano nel 1995 che obbliga gli Stati Uniti ad aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Da allora, ogni sei mesi, tutti i presidenti in carica, democratici o repubblicani, hanno siglato un atto temporaneo per ritardare lo spostamento.
Sia Della Pergola sia Lazar poi rilevano l’ipocrisia di buona parte del mondo occidentale rispetto allo status di Gerusalemme: le ambasciate sono a Tel Aviv “ma gli ambasciatori giurano a Gerusalemme dal Presidente Reuven Rivlin, vengono qui i capi di Stato da tutto il mondo. Il governo, la Knesset, la Corte Suprema è a Gerusalemme. Questa è la nostra capitale, non ci sono dubbi”, sottolinea Lazar. “Lo sappiamo tutti che lo è – ribadisce Della Pergola – Ed è patetico vedere reazioni scandalizzate di fronte a un dato di fatto”. Quello che cambia a Gerusalemme sono i numeri, come ha raccontato lo stesso Della Pergola su Pagine Ebraiche di novembre: “Alla fine del 2016, Gerusalemme aveva una popolazione di 882700 abitanti, di cui 550100 ebrei e 332600 arabi. Durante questi 49 anni la percentuale di ebrei (e persone senza religione) sul totale cittadino è costantemente diminuita, da 73,5% alla fine del 1967, 71,4% nel 1983, 67,6% nel 1995, 66,0% nel 2005, e 62,3% alla fine del 2016”. All’interno del Likud i dati presentati dal demografo (le cui proiezioni demografiche sulla situazione hanno avuto un margine di errore minimo: dopo 20 anni dalla data iniziale del calcolo, l’errore si attesta all’1%) hanno aperto una nuova discussione: “i dati rilevano che la natura ebraica di Gerusalemme è a rischio visto che la popolazione araba aumenta più velocemente e questo ha portato la nascita di una nuova proposta interna al Likud di scorporare alcune zone della città in un municipio autonomo che potrebbe diventare la base per un’eventuale capitale palestinese”, spiega Della Pergola. All’interno del Likud, la divisione di Gerusalemme è sempre stata fortemente osteggiata ma questa proposta sembra esserne una premessa ed è stata appoggiata anche da figure come Ze’ev Elkin, considerato un falco all’interno della destra. Aspettando Trump, la politica israeliana si muove.
Daniel Reichel