Società – La vergogna dell’ostentazione nera

Poi, per carità, nessuno parla mai sul serio: si tratta sempre di spacconate come quella del professore dell’istituto nautico di Camogli costretto due mesi fa dagli studenti a esibirsi nel saluto romano e filmato per i voyeur della Rete, che passerebbero senza lasciare traccia se i soliti permalosissimi antifascisti non stessero lì a menarsela troppo. E però, a ripercorrere a ritroso questo 2017 di passione, l’evocazione del Ventennio in forma di citazioni casuali o simboli pertinenti appare trasversale ai contesti, tutt’altro che timida, certamente ricorrente. Quando a febbraio il Buongiorno de La Stampa rivelò che l’istituto Ronconi di Roma aveva organizzato un «Gran Ballo in Epoca Fascista» con musiche d’epoca e gerarchi stivaluti sugli inviti, s’invocò l’attenuante carnevalesca e su richiesta esplicita di molti genitori l’evento fu cancellato. Poi fu l’incontenibile frenesia primaverile che il 29 aprile fece fiorire il Campo 10 del cimitero Maggiore di Milano di un migliaio di braccia tese in memoria dei camerati Carlo Borsani, Enrico Pedenovi e Sergio Ramelli. Ragazzate, come oggi minimizza il leader leghista Matteo Salvini parlando dell’irruzione degli skinhead a Como e ironizzando sugli ultimi quindici giorni di isterico allarmismo antifascista. In realtà, si ha l’impressione che gli ultimi quindici giorni (dai toni indubbiamente elettorali) accompagnino un processo di sdoganamento dell’indicibile e del politicamente scorretto cominciato diverso tempo fa e culminato nel 2017 sull’onda lunga di uno zeitgeist virato a destra su scala globale. Così, a inizio estate, siamo venuti a conoscenza di uno stabilimento balneare veneto chiamato Playa Punta Canna e accessoriato di cartelli con le foto di Mussolini, l’invocazione del regime contro i mali della democrazia, l’auspicio d’uno «sterminio dei tossici». Si era nel pieno della polemica sulla proposta di legge Fiano contro la propaganda del regime fascista e nazista (poi approvata). In quel caso però, i giudici di Venezia stabilirono che non si trattava di reato apologetico bensì di «un’articolazione del pensiero» del colorito gestore Gianni Scarpa, tornato sereno e riscattato alle sue «stravaganze». Lungi dal diradarsi i richiami al recupero del Duce si sono moltiplicati. C’è stato il tiro al bersaglio contro la presidente della Camera Laura Boldrini accusata di aver lanciato «una crociata» contro i monumenti fascisti ritenendoli offensivi nei confronti dei partigiani, la torta con la faccia glassata di Hitler esposta in bella mostra nella vetrina di una certa pasticceria di Maratea, il ritorno di Silvio Berlusconi nel salotto di Bruno Vespa con la confessione del motto da cui l’ex Cavaliere attinge sempiterno vigore: «Credere, obbedire, combattere». Una normalizzazione, più o meno casuale, rispetto alla quale finiscono per fare quasi meno notizia le retrovie notoriamente reazionarie delle curve calcistiche, che comunque negli ultimi mesi hanno visto i tifosi laziali distribuire adesivi con Anna Frank in maglia giallorossa e il giocatore del 65 Futa festeggiare il proprio gol mostrando una t-shirt con lo stemma della Repubblica Sociale Italiana alla curva del Marzabotto, città marchiata dall’omonima strage nazista dell’autunno 1944. Spacconate, per carità. Da ignorare anziché sbattere in prima pagina. Lo dicono anche i titolari della società non bolzanese «Mercatini di Bolzano srl» che, dopo aver vinto la gara per aggiudicarsi la kermesse in piazza «Natale coi fiocchi», hanno allestito a Torino banchetti e stand con il loro stemma, una M di Mussolini su fondo nero con quel Monumento alla Vittoria di Piacentini da sempre vessillo dei neofascisti altoatesini. Può darsi che sia tutto un grande scherzo, e allora però speriamo che duri poco.

Francesca Paci, La Stampa, 4 dicembre 2017