La promessa di Trump
Nell’era delle promesse vane, arriva l’uomo arancione dalla folta chioma bionda cotonata. Ha proprio le sembianze di un clown, con quella cravatta rossa e gli occhi ridotti in fessure. Grida quando dovrebbe sussurrare, appare goffo e inadeguato in ogni gesto e circostanza. Porge la mano a sua moglie e lei gliela nega, la ritrae con fare disgustato. Il popolo lo detesta e lo osserva bieco con lo stesso disgusto di Melania. Il loro tarlo in fondo è lo stesso: lei che si domanda come abbia fatto a sposarlo, lui che si domanda come abbia fatto a votarlo. Insomma, se fosse il concorrente di un reality show, probabilmente Trump verrebbe eliminato all’unanime da tutti e quattro i giudici e deriso poi dal pubblico in studio, a casa e pure sul web. Possiamo concludere che, se questa storia fosse il macabro copione di un film hollywoodiano, ora ci lasceremmo cullare nel flashback del protagonista amareggiato. Un anno fa, infatti, ci trovavamo nel bel mezzo di una campagna elettorale senza precedenti, uno scontro sanguinolento condotto rigorosamente a suon di scandali e minacce. Lui è Donald, il vecchio pazzoide con il conto corrente da capogiro. Lei è Hillary, la vecchia acida moglie “dell’altro”. Lui promette di restituire un po’ di dignità all’America, lei promette di salvare l’intera umanità dal baratro. Lui promette di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, lei promette di favorire il processo di pace tra i due popoli. Come intenda riuscirci esattamente, non si sa. Ma torniamo a noi e alle promesse vane: Donald rimane il vecchio pazzoide di sempre, su questo non c’è dubbio. Sarebbe inutile (e forse anche un po’ patetico) ogni tentativo di spacciare un peccatore per santo. Il suo mandato procede con passo incerto e talvolta zoppicante, le accuse si accumulano inesorabili e l’illusione che l’America possa ritrovare un po’ del suo splendore perduto si riassume in un inequivocabile zero. Tuttavia, un’importante lezione di vita ci è stata impartita questa settimana dallo stesso clown con l’acconciatura improbabile: uno schiaffo al politically correct che ci conferma per l’ennesima volta che i politici più credibili sono sempre quelli che di politica ne capiscono quanto ne capisce il sottoscritto. Cioè nulla. Non proclamiamo dunque il buon Trump santo, ma applaudiamo senza esitazioni il suo coraggio e la sua coerenza nel riconoscere Gerusalemme come capitale unica ed indivisibile dello Stato ebraico. Applaudiamo e impariamo anche noi a mantenere le piccole e grandi promesse che facciamo giorno per giorno a noi stessi e a chi ci sta accanto. Applaudiamo e brindiamo ad un futuro un po’ meno politically ed un po’ più correct. (O forse il contrario?). Applaudiamo e preghiamo affinché, in qualche stanza nascosta della Casa Bianca, al riparo da telecamere e da occhi indiscreti, persino Melania stia oggi stringendo la mano al suo bizzarro marito per congratularsi con lui di tanta inaspettata prodezza.
David Zebuloni
(8 dicembre 2017)