Philip Roth, immenso e multiforme
Curato dalla professoressa Elèna Mortara, che ne firma il saggio introduttivo, il Meridiano dedicato agli scritti di Philip Roth (nell’immagine con Primo Levi) presenta una ricca selezione della narrativa di uno dei più grandi intellettuali contemporanei, con i più significativi romanzi del periodo giovanile e della prima maturità. Su Pagine Ebraiche di dicembre proprio Mortara – in un ampio approfondimento dedicato dal giornale dell’ebraismo italiano allo scrittore americano – racconta la complessità e il fascino del lavoro editoriale fatto per Mondadori su Roth.
Mi è stato chiesto di condividere alcune riflessioni riguardo alla mia esperienza come curatrice del primo Meridiano Mondadori dedicato a Philip Roth e di raccontare “le difficoltà e le soddisfazioni di questo grande lavoro”. “Credo”, ha aggiunto, nel suo gentile messaggio di invito, il direttore del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche e dei notiziari quotidiani dell’UCEI Guido Vitale, “che per il lettore sarebbe bello e utile, e che ti darebbe l’occasione per diffondere una tua considerazione generale sull’opera di Roth”. Come resistere a tanti argomenti tentatori, così amichevolmente avanzati? La maggior soddisfazione, rispondo, è quella di aver ora tra le mani un libro di grande bellezza – circa duemila pagine di finissima carta splendidamente rilegata, con otto romanzi dell’autore riuniti insieme e un ampio apparato critico di cornice – dedicato al maggior scrittore americano vivente, e di sapere che questa opera sarà utile per i lettori e che rimarrà come punto di riferimento in Italia per chi voglia conoscere a fondo un gigante della letteratura contemporanea. Un gigante, Philip Roth, autore di ben ventinove romanzi e tre raccolte di saggi (inclusa l’ultima, da poco uscita in America), vincitore a partire dal 1960 di decine di prestigiosi premi letterari, ma, scandalosamente, mai dell’atteso premio Nobel per la Letteratura, di cui sono stati invece meritatamente insigniti negli anni ’70 del ’900 due dei maggiori scrittori ebrei americani della generazione immediatamente precedente, Saul Bellow e Isaac Bashevis Singer. In mancanza, almeno per ora, di questo riconoscimento svedese, saranno i lettori di tutto il mondo a continuare a conferirgli il loro premio, leggendo i suoi libri. E per chi ha lavorato al Meridiano Roth, oltre che dal piacere per l’opera compiuta, la vera soddisfazione verrà dal riscontro critico e dei lettori, cui questo volume è destinato.
La maggiore difficoltà che ho dovuto superare nello scrivere il saggio introduttivo al volume – un saggio che non riguarda solo i romanzi in esso inclusi, ma l’intera opera di Roth – è legata alla multiforme personalità di questo immenso scrittore dalla produzione fluviale e ricca di continue sorprese, che mi ha costretto a navigare tra tutte le sue esaltanti trasformazioni di modalità narrativa, per delineare il movimentato evolversi di una ricerca espressiva sviluppatasi nel corso di oltre cinquant’anni di intensissimo lavoro. In un centinaio di pagine, ho cercato di offrire il profilo generale dello scrittore, raccontandone i conflitti, i mutamenti del pensiero, le crisi, il zigzagare da un romanzo all’altro alla ricerca di sempre nuove forme di espressione, le sfaccettature ma anche la tumultuosa coerenza, i punti nodali, il rapporto con altri scrittori e con le vicende del suo tempo, in un percorso letterario sempre più imponente per la quantità e qualità dei risultati. È stato impegnativo, ma anche esaltante immergersi nuovamente in tutta l’opera di questo grande romanziere, uscendo dalla lettura e rilettura sempre più convinta del suo valore e della sua importanza.
Una seconda difficoltà, che ha riguardato in particolare la stesura delle note critiche ai singoli testi inclusi in questo I volume e la bibliografia, è legata all’enorme fortuna internazionale dell’opera di Roth, che ha comportato l’analisi di decine di monografie, recensioni e saggi critici, e la necessità di dover scegliere cosa citare della vastissima letteratura critica di commento, volendo fare, per ogni opera, una storia della sua fortuna critica nel tempo. Si trattava, d’altro canto, di raccontare anche la storia della genesi, spesso assai sofferta, di questi testi, ricostruendola da varie fonti, incluse le molteplici interviste e i saggi di auto-riflessione dello scrittore: una congerie di documenti in cui Roth, con continui ripensamenti, ogni volta aggiunge nuovi spunti, nuove angolature, nuove interpretazioni, che via via nascono dal variare delle sue esperienze di scrittura, in una continua mobilità di pensiero. Di tutta questa enormità di materiali si doveva dar conto, d’altro canto, tenendo presente le esigenze editoriali di un libro che non doveva superare le 2000 pagine, contenendo in sé ben otto romanzi dello scrittore: si trattava dunque di contenere per quanto possibile la lunghezza dei testi di approfondimento critico, pur senza diminuirne la qualità, cosa che ha richiesto un notevole sforzo e qualche rinuncia. In un dibattito radiofonico suscitato dall’uscita del Meridiano, Loredana Lipperini, la brava conduttrice del programma culturale pomeridiano di Radio Tre “Fahrenheit”, mi ha posto tra l’altro questa domanda: “In una mappa ideale della tradizione letteraria americana, soprattutto della letteratura degli ebrei d’America, come dobbiamo collocare Roth, e come in particolare rispetto a Saul Bellow?”. Chi è interessato a questi interrogativi potrà leggere le mie articolate riflessioni nell’ampio saggio di introduzione al volume. Certo è che della grande triade di scrittori ebrei americani impostisi all’attenzione della critica e del grande pubblico negli anni ’50 del secolo scorso, i Bellow-Malamud-Roth vincitori ciascuno del prestigioso National Book Award in quel decennio del secondo dopoguerra che vide l’emergere in letteratura di una sorta di “Rinascimento ebraico americano”, ebbene Roth, il più giovane, il più controverso e apparentemente in ironico conflitto con il mondo ebraico americano delle origini, è in realtà quello che più a lungo e profondamente ha dimostrato di essere radicato nell’esperienza ebraica, da lui continuamente rielaborata in forme sempre diverse in tante parti della sua narrativa. Il pubblico di lettori italiani tende oggi a conoscere di Roth soprattutto i suoi capolavori più recenti, quali Il teatro di Sabbath, o Pastorale americana e La macchia umana, due romanzi (questi ultimi) della cosiddetta Trilogia americana, che hanno visto la luce tra la fine del ’900 e l’inizio del 2000. La pubblicazione di questo I Meridiano dedicato a Roth (primo dei tre che gli saranno dedicati nella collana) è invece una grande occasione per riscoprire il sorprendente, esplosivo percorso iniziale di questo grande scrittore, in un volume che raccoglie ben otto dei suoi romanzi pubblicati tra il 1959 e il 1986. Si va dal gradevole Goodbye, Columbus, del 1959, il brillante romanzo breve del giovanissimo Roth degli esordi (ricco tra l’altro di dialoghi esilaranti, tutti da riscoprire), ad uno straordinario, poderoso romanzo del 1986, fondamentale nel percorso dello scrittore, La controvita, tra i più complessi e sperimentali di Roth, e uno dei più ricchi e interessanti anche dal punto di vista della tematica ebraica, specie nei due capitoli ambientati rispettivamente in Israele e in Inghilterra: un romanzo veramente imperdibile. All’interno di questo percorso, nel Meridiano sono riunite altre sei tappe fondamentali della sua narrativa: innanzitutto, il romanzo che ha conferito allo scrittore il più colossale successo imponendolo al centro della scena letteraria internazionale, il rivoluzionario, clamoroso romanzo della rivolta, Lamento di Portnoy (1969), una rivolta di stile, nel clima ribelle di quella fine decennio, oltre che di contenuto, nel rapporto con la tradizione del romanzo di argomento ebraico. Si prosegue poi con una selezione dei romanzi degli anni ’70, a partire dal meno noto eppure importantissimo La mia vita di uomo (1974), in cui Roth, con modalità sperimentali ricche di sorprese per il lettore, comincia ad affrontare in maniera esplicita il dilemma dello scrittore, diviso tra autobiografia e finzione narrativa che da questa può derivare: il problema è come partire dal dato della realtà, usando la propria esperienza di vita nella scrittura, distanziandosi però dall’elemento autobiografico (spesso doloroso), attraverso la creazione di personaggi altri-da- sé attraverso cui reinventare e trasformare le proprie esperienze. Da qui inizia il percorso che porta, proprio in questo decennio, alla nascita dei primi cicli letterari rothiani, con personaggi che ritornano da un romanzo all’altro. Una modalità testimoniata in questo Meridiano dal primo ciclo di quattro romanzi dedicati al personaggio di Nathan Zuckerman, lo scrittore ebreo di cui seguiamo l’evolversi, in una incalzante sequenza di romanzi, dagli esordi di Lo scrittore fantasma (1979), ai tormentosi successi di Zuckerman scatenato (1981), alle crisi di La lezione di anatomia (1983), agli scenari europei, segnati dal ricordo della Shoah, di L’orgia di Praga del 1985 (in quegli stessi anni, Roth, innamorato di Kafka e tutt’altro che concentrato solo in se stesso, aveva scoperto la difficile condizione degli scrittori europei d’oltre cortina, e aveva anche dato inizio ad una collana dedicata ai loro romanzi, da lui generosamente curata per le edizioni Penguin e intitolata Writers from Other Europe).
Le 1768 pagine di testi dell’autore, leggibilissime per la qualità della stampa, della carta finissima, della perfetta rilegatura in pelle, sono completate, come è d’uso nelle raffinate edizioni dei Meridiani, dalla cornice di un ampio apparato critico, in questo caso di complessivamente 227 pagine, costituito innanzitutto dal mio saggio introduttivo, dalla Cronologia sulla vita dell’autore, dalle Notizie sui testi inclusi nel volume (curate in parte da me, in parte da Paolo Simonetti), cui si aggiunge una dettagliata bibliografia, sia delle opere dello scrittore che della critica. Questo il quadro di insieme del I Meridiano Mondadori dedicato a Philip Roth: un serbatoio di testi straordinari, di informazioni e commenti, grazie a cui riscoprire in profondità l’opera di un sommo protagonista della letteratura moderna, godendo della sua scrittura provocatoria, profonda, e divertente.
Elèna Mortara, Università di Roma Tor Vergata