…certezze

C’è una parte degli italiani che non ama e non conosce la storia da cui proviene. Passano indifferenti accanto ai monumenti e non si curano se qualcuno li imbratta o li maltratta, non sembrano voler veramente conoscere ed apprezzare i tesori del passato, affreschi, quadri, architetture e letterature, preferendo dedicarsi invece con accesi proclami politici alla “gloria” di una nazione sognata come pura proiezione astorica di un passato idilliaco. Un’Italia bianca e cristiana, pensata come futuro rassicurante. Un fortino di superiorità che basta a se stessa.
C’è un’altra Italia che conosce e riconosce la sua storia ed è curiosa di scoprirla e condividerla. Si prende cura dei monumenti e pensa, programma e realizza musei nei quali fondare le radici storiche e culturali di un presente plurale. L’Italia crocevia di culture differenti, costruita dall’incontro e a volte dal contrasto di esperienze culturali, linguistiche e religiose differenti. Una multiforme presenza che ci ha condotti ad essere quel che siamo, un gran miscuglio di mille umanità diverse. Il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah è uno dei frutti di questo lavoro. Un progetto di lunga durata in via di realizzazione, nel quale per la prima volta lo Stato italiano ha deciso di investire risorse per riconoscere – finalmente, dico io – che gli ebrei sono parte di quel miscuglio, lo hanno in parte determinato e ne sono consapevoli protagonisti dell’oggi.
Stando al continuo refrain polemico contro le iniziative di finanziamento a restauri e riscoperte culturali (si vada, al contrario, ad ammirare la mostra sui primi mille anni dell’ebraismo in Italia e si scopriranno tesori meravigliosi) – paradossalmente ci sono alcuni ebrei a cui non va bene l’idea di essere parte dell’esperienza di valorizzazione di questa storia, forse perché la storia è spesso portatrice di dubbi e di varie incertezze che rischiano di destabilizzare le sicurezze su cui fondiamo il nostro vivere contemporaneo. Tuttavia possiamo ben dire che mai come in questi anni lo Stato italiano come entità istituzionale guidata da non importa quali governi ha prestato maggior attenzione alla realtà ebraica per valorizzarla in ogni suo aspetto. Costruisce un Museo Nazionale a Ferrara; programma e in parte finanzia l’istituzione di musei memoriali della Shoah a Roma e a Milano, finanzia progetti culturali di livello, dalla traduzione del Talmud alle ricerche del CDEC, offre sostegno alle scuole e ai progetti culturali in esse prodotti, destina una parte della tassazione dei cittadini al sostegno delle istituzioni comunitarie ebraiche, promuove iniziative pubbliche di vario genere per valorizzare la presenza ebraica nella penisola e, last but not least, assicura con uno sforzo encomiabile la sicurezza dei luoghi di culto permettendo agli ebrei di recarsi in sicurezza a pregare senza rischiare di essere minacciati nella loro libertà religiosa (riconoscendo in questo l’imperdonabile orrore dell’attentato al ghetto di Roma nel 1982, quando gli ebrei vennero lasciati sconsolatamente soli).
Non si tratta, naturalmente, del migliore dei mondi possibili. Si tratta pur sempre dello Stato che 80 anni fa determinava la fine della breve stagione di emancipazione ebraica, e non ci stancheremo mai di ricordarlo e di chiedere che le istituzioni si assumano le loro responsabilità storiche. Ma se rapportato alla lunga, bimillenaria storia della presenza degli ebrei in questa Penisola allungata nel Mediterraneo, non mi sembra di intravedere momenti nei quali si sia assistito a una così convinta valorizzazione della componente ebraica da parte di istituzioni e di interi, ampi settori della società italiana, che con ogni evidenza sembrano aver capito che l’ebreo qui da noi non è una vaga presenza orientale che passa e va, ma è una componente costitutiva del passato, del presente, e confido del futuro di questo paese. Alla faccia delle certezze spudorate sulla monocromaticità culturale e religiosa sbandierata da certi nostalgici che provano a riaffacciarsi al palcoscenico della storia.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC