Fine
E così anche quest’anno sono arrivati e già passati i giorni più bui dell’anno, in cui cerchiamo un po’ di luce osservando le nostre Chanukkiot illuminate. Da un lustro questo periodo così magico tanto atteso dai bambini, fatto di cene e feste, scambi di doni e canti gioiosi, coincide spesso con personalissimi Giorni Terribili per uno sparuto gruppetto di persone, lontane geograficamente eppure riunite da una grande amicizia e un altrettanto grande dolore ed un lutto forse mai pienamente elaborato.
Quando contare i giorni dell’anniversario? Da quando è accaduto, o da quando solo ad una settimana esatta di distanza, complice la mancanza di tempo e l’affanno degli impegni quotidiani, in uno stupidissimo maledetto attimo di pausa al lavoro, un lunedì 24 dicembre, è stato preso in mano il telefono per chiamare quell’amica al nord, la quale da alcuni giorni aveva provato a telefonare senza ricevere risposta? O forse l’anniversario è l’unico momento, un mese dopo, per queste due amiche insieme, non a caso come spesso succede per eventi legati al Giorno della Memoria, a parlarne una notte intera, leggere la sua lettera con secche disposizioni testamentarie, e ancora rileggerla, toccare il dolore e subito ritrarsi?
Della perdita di Luciano Bombarda è già stato scritto, subito, forse uno dei primi testi per questo portale. Non era proprio intenzione parlarne quest’anno, ma talvolta sono gli argomenti a scegliere noi e non viceversa. Allontanarne il pensiero quando nei giorni scorsi abbiamo sentito parlare tanto della nuova legge sul cosiddetto biotestamento. Doverne riflettere studiando il sistema concetrazionario nazista. Piangere immotivatamente in questo tempo apprendendo la notizia del suicidio di una ragazzina peraltro sconosciuta.
E in realtà è una presenza costante, dall’avvicinarsi dello Shabbat che è un apprestarsi frenetico e solitamente felice, in cui però risuonano le sue telefonate settimanali che non mancavano mai per gli auguri ed i commenti sulla settimana, e l’assenza di quella chiacchierata pesa dalla settimana prima che si lasciasse cadere nel fiume, e con lei pesa il senso di colpa per non avere composto il suo numero e cercato quella conversazione, come se poi potesse servire a qualcosa.
La presenza nel lavoro, pensando al suo archivio così preciso ed ordinato con meticolosa cura, e all’entusiasmo con cui si buttava nel ricostruire le vite degli ebrei stranieri internati in Polesine, alla sua capacità di ritrovare nel mondo sopravvissuti, figli e nipoti, fotografie e documenti, allacciando le vite di altre persone.
Nonostante nessuno abbia diritto di giudicare o di scegliere per gli altri, appunto: al detenuto in lager non era permesso porre fine alla propria vita, non ne aveva diritto, in quanto considerato sottouomo e ‘pezzo’ al servizio del Reich non poteva decidere per sé, e a maggior ragione per questo civiltà significa permettere che una persona adulta ed in pieno possesso delle proprie facoltà possa decidere di non subire accanimento terapeutico nella fase terminale di una malattia.
E tuttavia quale impotenza, frustrazione, ira, di fronte a chi un giorno decide di andarsene, di lasciare una vita ‘normale’ smettendo di lottare per affrontare i propri problemi e di confrontarsi con gli altri alla ricerca di una soluzione diversa.
Diventa difficile non accusare di egoismo, cecità, codardia, ed accettare di non poter più volere bene. Se tutto quanto aperto a Rosh HaShanà si conclude, dopo la riflessione solenne ed impietosa degli Yamim Noraim, con l’essere scritti nel libro della vita o nel libro della morte, allora resta solo una richiesta da aggiungere quotidianamente nell’Amidà:
aiutaci ad accettare di lasciare andare coloro che amiamo, e con questo perdonarli e provare ad amarli in modo diverso.
Sara Valentina Di Palma