LETTERATURA “Sveglio i lettori dall’indifferenza”

AyeletAyelet Gundar-Goshen / SVEGLIARE I LEONI / Giuntina

Ayelet Gundar-Goshen, trentacinquenne israeliana, psicologa e autrice di Una notte soltanto, Markovitch e di Svegliare i leoni, ha riscosso un enorme successo al Festivaletteratura di Mantova parlando del suo secondo romanzo.

Da bambina sognavi di diventare psicologa o scrittrice?

Quando ero piccola non sapevo che cosa fosse uno psicologo, ma dal momento in cui ho iniziato a leggere ho saputo che avrei voluto vivere dentro una storia, oppure scriverne io. Ero una bambina solitaria e leggevo moltissimo, camminavo per strada abbracciando i miei libri. Non avrei mai immaginato che una mia storia – scritta a mano su un quaderno in un caffè di Tel Aviv – arrivasse in tutto il mondo. Io scrivo ogni mia storia su un quaderno, ho bisogno del contatto fisico della mano con la carta e la penna… Poi trascrivo al computer e poi devo buttare via i quaderni, perché è parte del processo creativo: liberarsi dalle sue varie fasi intermedie per arrivare al risultato finale. L’opera rimane così nello spirito, non nella materia.

Da dove viene la tua famiglia? E la tua scrittura?

La mia famiglia viene da Vienna, dalla Romania, dalla Russia.. Un mio nonno è arrivato a piedi dalla Russia in Palestina passando anche per l’Italia. Mia madre è insegnante di Lettere, mia nonna era insegnante di Bibbia: l’amore per le parole è molto forte in famiglia. La mia scrittura nasce sempre da una domanda. Per esempio, Svegliare i leoni nasce dalla domanda: Che cosa causa in un essere umano la capacità di investire con l’auto una persona, lasciarla agonizzante sul ciglio della strada e andarsene? Mi domandavo se anche io sarei mai in grado di fare una cosa così. Mi sono imbattuta in questa storia in India: avevo 20 anni. C’era un ragazzo israeliano nel mio ostello che sembrava traumatizzato: non si muoveva e non parlava con nessuno. Allora mi sono avvicinata e lui ha iniziato a raccontarmi che aveva investito una persona durante una gita qualche giorno prima ed era fuggito. Mi colpì il suo aspetto normale: non aveva la faccia dell’assassino. Io stessa però forse in quella situazione avrei dovuto agire diversamente: telefonare alla polizia, per esempio.. Questa storia mi ha tormentata per anni. L’avevo ascoltata come si ascolta un racconto, senza sentire il bisogno di agire e non so se è stata la cosa giusta da fare. Noi tutti proviamo empatia verso le persone simili a noi, la nostra famiglia, gli amici: più una persona è diversa da noi più è facile disinteressarsene, ignorarla. Anni dopo ho preso questa storia e l’ho spostata in Israele perché mi interessava parlare di noi, di un Paese composto da profughi arrivati da ogni parte del mondo, che hanno ricevuto finalmente uno Stato e che troppo presto si dimenticati di che cosa significa non avere una casa.

svegliare-i-leoni-coperta-definitiva-copiaChe cosa fa la psicologa Gundar-Goshen mentre Ayelet scrive? In che modo il tuo essere psicologa influenza il tuo scrivere?

Entrambe le attività sono incentrate sul porre domande, piuttosto che sul dare risposte. La scrittrice deve evitare di giudicare i suoi personaggi ma porsi domande su di essi, così come tenta di fare la psicologa: capire perché una persona agisce e parla in un determinato modo. Mi domando spesso – riguardo ai miei personaggi – come aiutarli a passare da caricatura di se stessi a persone vere, complete. Spesso mi chiedo: se questo mio personaggio venisse da me come paziente al primo incontro, che domande vorrei rivolgergli per capire chi è davvero?

A volte, nel consigliare agli amici Una notte soltanto, Markovitch, l’ho definito storia erotica del Sionismo: che cosa pensi di questa descrizione?

Bellissima definizione: i libri di storia sono pieni di morte, di guerra, di pulsione di thanatos, mentre per me la storia del Sionismo è prima di tutto una storia d’amore, di attrazione “sessuale”, desiderio erotico per la terra. È anche però una storia di disillusione, di ciò che succede a qualcuno che desidera fortissimamente una cosa o una persona e che poi la ottiene, con tutte le conseguenze che questo comporta. A volte si impazzisce. Si può essere delusi. Ricordo mio nonno, che era della generazione di quelli che avevano combattuto per lo Stato, dire: “Per questo così tanti di noi sono morti? Per creare un altro Stato pieno di corruzione, malvagità e violenza?” La differenza fra quello che sogni quando hai vent’anni e quello che vedi quando ne hai settanta può essere molto dolorosa.

Le due donne di Svegliare i leoni sono personaggi diversi fra loro, ma accomunati da una provenienza “difficile” e dotate di enorme forza. Vuoi più bene a Sirkit o a Liat?

Difficile come scegliere fra due figli. Sirkit mi piace molto, è stata molto importante per me. All’inizio l’ho scritta solo da fuori, dal punto di vista del dottor Green, poi ho capito che bisognava raccontarla anche dal di dentro. Il mio editor mi scoraggiava dicendo che non potevo immedesimarmi in una profuga eritrea. Non ero d’accordo: sarebbe stato come negare che c’è qualche cosa di comune a tutta l’umanità: io posso – e in qualche misura devo – sapermi immedesimare in Sirkit. Amo molto anche Liat per la sua cecità, per il fatto che sta cercando proprio il suo uomo e non se ne accorge.. A tutti capita di aver di fianco la realtà e non saperla vedere, o piuttosto “essere in grado di non vederla”, per salvarsi.

Speravi che a un certo punto Eitan e Sirkit si prendessero per mano?

Mi era chiaro dall’inizio che ci dovesse essere un qualche genere di attrazione fisica, di tensione sessuale fra i due… Credo che ci sia qualcosa di molto sexy nel fatto che una persona sappia la verità su di te: è anche quello che succede in psicoterapia: ci si “innamora” del terapeuta perché è l’unico che crediamo sappia tutto su di noi. Eitan è attratto da Sirkit perché è l’unica che lo conosce davvero. E lei è attratta da lui semplicemente perché lui ha la vita che lei vorrebbe. Sarebbe stato bello e comodo farli finire a letto assieme, ma non sarebbe stato sano, nutriente.. Sarebbe stato troppo lontano dalla realtà.

Che relazione c’è tra il tuo primo romanzo Una notte soltanto, Markovitch (2012) e Svegliare i leoni (2014)? A una prima occhiata si può dire che il primo fa (anche) ridere, mentre il secondo no… Tu che dici?

Sono molto diversi: in Markovitch c’è davvero qualcosa di comico, anche di “festoso”, “celebrativo”, è un po’ un carnevale. Il secondo è molto più tetro, cupo, oscuro.. Dipende dal periodo in cui i due sono ambientati: Markovitch si svolge in un periodo di Festa e di celebrazioni.. Il secondo quando lo Stato c’è già e bisogna farci i conti. Potremmo dire che in Markovitch si respira la pulsione erotica per la Terra da conquistare, mentre ne I leoni vince l’impulso di morte: in quella terra oramai si è intrappolati, letteralmente sepolti nelle sue viscere.

Che cosa è successo fra l’uomo con i baffi Zeev Feinberg di Una notte soltanto, Markovitch ed Eitan Green di Svegliare i leoni? Il primo era un combattente dell’Irgun, idealista e risoluto, il secondo un medico in carriera, individualista e pieno di dubbi…

Ottima domanda, che ne contiene una più grande: che cosa è successo al mondo fra la generazione dei padri fondatori e la nostra? C’è una differenza enorme fra vivere in un periodo in cui “si fa la Storia” – come durante la II Guerra Mondiale – e vivere in un periodo in cui la Storia ti culla, ti mette a dormire comodo. Il mondo – negli anni ’40 – è stato ribaltato come una palla di Natale, mentre oggi rimane sempre tutto uguale. Pensa alla differenza fra il mondo del 1937 e quello del 1947; mentre invece tra il 2007 e il 2017 non è successo quasi nulla. Questo si riflette anche sul pensiero morale: allora eri con i fascisti o eri contro, eri sionista o contro i sionisti.. Nel 2017 ti alzi la mattina, vai al lavoro, l’unica cosa che ti interessa è che i tuoi bambini siano bravi e stiano bene e ti disinteressi delle implicazioni e delle conseguenze etiche e morali delle tue scelte, ti infischi di tutto il resto, perché le cose veramente difficili succedono in Africa, o comunque molto lontano da te. Finché un giorno magari la realtà ti capita davanti, come in un incidente.

Quindi… Gli uomini di Jabotinski sono il Likkud di oggi, i seguaci di Ben Gurion, lì giù nel Neghev, dove i leoni si svegliano, sono quelli che votano Meretz ma non vogliono sapere altro… Come si fa?

Ogni mattina ti alzi e scegli come agire, e ciò scrive il tuo domani: quando un paziente mi parla troppo nel suo passato, capisco che non si sta occupando del suo presente. Ciò che ha fatto il mio nonno militante dell’Irgun, magari io non l’avrei fatto, ma non è il mio compito giudicare azioni compiute da altri nel passato e in circostanze del tutto diverse: lui voleva che nel 1948 sorgesse uno Stato e ha fatto ciò che era necessario perché avvenisse, il mio compito è agire oggi perché domani ci sia ancora uno Stato buono e morale per i miei figli, diciamo per esempio fra 20 anni. C’è differenza fra Jabotinski e Netanyahu. Jabotinski scrive in un periodo ben diverso da quello di Bibi. I miei due nonni erano uno dell’Etzel e uno della Hagana, e le cene di venerdì sera con i due a tavola erano ben animate e tese: le liti non mancavano, ma alla fine – visto con la distanza di oggi – fra i due c’erano molti più valori in comune che differenze ideologiche, perché in fondo combattevano entrambi per la stessa cosa. Invece un uomo di oggi come l’Eitan del romanzo, nonostante sia un uomo di sinistra, istruito e morale, è definito dalla scelta di indifferenza che compie nel momento cruciale, non dal bigliettino con scritto “Meretz” che infila nell’urna ogni volta ogni 4 anni.

Che cosa pensi del modo in cui Israele affronta la questione profughi del Sud Sudan?

Penso che sia storicamente paradossale che un popolo che ha scritto nella sua carne l’essere straniero si comporti come sta facendo verso quelli che arrivano oggi: ti aspetteresti che Israele mostrasse empatia, comprensione, che si occupasse degli stranieri… Invece no, se ne disinteressa tanto che di fatto oggi non arrivano quasi più persone dall’Africa in Israele, per il modo in cui Israele se ne è “occupata”: li hanno imprigionati, hanno negato loro ogni diritto di lavorare; parlamentari come Miri Regev hanno parlato dei profughi come di un “cancro nel corpo del Paese”. Sono cose – queste – che una bocca e un orecchio ebraico non dovrebbero nemmeno poter immaginare di dire e di ascoltare, dopo tutto quello che abbiamo passato. Dovremmo essere più attenti agli altri perché sappiamo che cosa significa essere quello che bussa a una porta che non si apre. Il popolo eletto da Dio non è un concetto con cui io sono cresciuta, ma se ti senti “scelto”, hai responsabilità etica, devi essere una luce per le genti in senso morale, non solo uno Stato di successo, devi poter dare un esempio.

C’è nel tuo romanzo una critica “politica”, o l’argomento è un pretesto per scandagliare le nostre coscienze?

Bisogna stare attenti – quando si scrive un romanzo – che la politica non entri troppo, non si sovrapponga. Se scrivi scrivi e quello è il tuo compito unico: che la storia regga.

Miriam Camerini, Pagine Ebraiche, dicembre 2017