Pagine Ebraiche gennaio 2018
“Talmud, messaggio universale”
È il 1553 quando, per decreto di papa Giulio III, a Campo de’ Fiori brucia il Talmud. Invece di uomini, sul rogo finiscono volumi, conoscenza, profondità di pensiero. Si cerca di distruggere i legami di un popolo con i propri testi, la propria storia. Una ferita ancora aperta, che inevitabilmente segnerà il futuro delle generazioni ebraiche italiane. “I fogli bruciano, ma le lettere volano” si legge nella targa fatta apporre nel gennaio del 2011 in quello stesso luogo. E infatti andò così, con i grandi Maestri dell’epoca che districarono dal Talmud gli argomenti legali da quelli di altro genere e stamparono due nuove opere con diversi nomi. Ma comunque, nel passaggio, qualcosa di importante si perse. Soprattutto il legame speciale e unico con quel testo, ormai fruibile, in quell’epoca oscurantista, solo a patto di esporsi a gravi rischi personali.
Il progetto di traduzione in italiano del Talmud Babilonese, avviato nel 2011 nel segno del protocollo d’intesa siglato tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Consiglio nazionale delle ricerche, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Collegio rabbinico italiano, è la risposta di una società che guarda oggi al Talmud con interesse e riconoscenza. Come a un testo che, oltre la sua dimensione ebraica, dissemina i propri saperi in una prospettiva sempre più universale.
Per festeggiare l’uscita del secondo trattato tradotto – Berakhòt, curato dal rav Gianfranco Di Segni e pubblicato dalla casa editrice Giuntina – Pagine Ebraiche di gennaio in distribuzione propone uno speciale dossier di approfondimento. “Tutto ciò che gli ebrei sono oggi, sta nelle pagine di questo testo. Come e perché osserviamo le feste, lo Shabbat, la Kashrut, tutte le altre norme. La base dell’osservanza è nel Talmud, pilastro imprescindibile dell’identità ebraica” ci spiega il rav Di Segni.
Scrive il grande talmudista rav Adin Steinsaltz: “Il Talmud è, in un certo senso, il libro del grande mistero del popolo ebraico. È un libro misterioso non perché è scritto in una lingua diversa e con uno stile tutto suo, ma perché è un libro unico nella letteratura mondiale. Inizia come un’opera circoscritta nei suoi scopi, un commentario alla Torah Orale, ma presto arriva a affrontare ogni possibile argomento che sia rilevante per l’umanità, ovunque si trovi. Scritto in un linguaggio semplice, con tutta la sua semplicità contiene profondità di saggezza, di conoscenza e di analisi di ogni possibile domanda”. Aggiunge quindi il rav: “Il Talmud è un libro del mistero che è totalmente aperto perché il segreto che contiene non ha bisogno di essere nascosto, essendo così profondo e criptico che ci si può solo connettere ad esso, ma non si può mai arrivare a comprenderlo appieno. Per gli ebrei il Talmud è un libro vitale perché in una certa misura da lui dipende la loro stessa esistenza, ma, contemporaneamente, il Talmud trasmette al mondo intero un messaggio, che forse il mondo, solo adesso, può cominciare a comprendere”.
Partiamo da qua, con il rav Gianfranco Di Segni. Coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano, il rav è curatore dei due volumi del trattato Berakhòt di recentissima pubblicazione. Alle spalle, mentre parla, ci sono proprio i volumi della monumentale traduzione operata in solitaria dal rav Steinsaltz. La missione di una vita, portata a compimento al termine di un lavoro di decenni. Oggi quelle pagine, che rav Di Segni indica con riverenza, sono un vero e proprio patrimonio dell’umanità.
“Tutto ciò che gli ebrei sono oggi, sta nelle pagine di questo testo. Come e perché osserviamo le feste, lo Shabbat, la Kashrut, tutte le altre norme. La base dell’osservanza è nel Talmud, pilastro imprescindibile dell’identità ebraica” sottolinea il rav Di Segni, mentre si accomoda alla scrivania della stanza che, all’interno del Collegio, è un po’ il quartier generale del progetto di traduzione. Pochi metri quadrati, in cui sono condensati molti saperi e insegnamenti. “Il paradosso – aggiunge – è che in generale nella società molto si parla di ebraismo, ma spesso con estrema superficialità. Gli ebrei stessi in buona misura ignorano le loro radici, e che queste affondano in un fondamentale testo su cui, non a caso, nel passato si sono scatenate violente persecuzioni. Perché il Talmud, nel corso dei secoli, è sempre stato studiato, commentato, diffuso. Anche nei momenti più bui d’Europa, anche quando l’oscurantismo cercava di annientare nei roghi il sapere e la dignità umana. Una luce perpetua, da cui attingere costantemente”
Ed è una luce sempre più universale, prosegue il rav, perché la centralità della cultura ebraica nella società occidentale, finalmente riconosciuta, “non può essere compresa davvero se non si conosce il Talmud”. E non si può non partire da Berakhòt, il primo dei suoi trattati.
La parola “benedizioni” con cui viene tradizionalmente tradotto in italiano il termine, osserva il curatore, “non rende bene la ricchezza semantica e concettuale che risuona nel corrispondente termine ebraico”. Berakhà è infatti benedizione, formula di augurio e saluto. Ma, si precisa, “è anche lemma che racchiude in sé i concetti di lode, di abbondanza e di prosperità; è il modo più tipicamente ebraico con cui si esprime la fede in Dio Re e Creatore del mondo”.
Nove i capitoli in cui è suddiviso il trattato. I primi tre, spiega il rav, si occupano della lettura dello Shemà‘ e delle berakhòt associate alla sua lettura. Oggetto del primo capitolo l’obbligo di leggere lo Shemà‘, la definizione dei tempi in cui deve essere recitato e i dettagli di tale precetto. Nel secondo vengono invece esaminate alcune regole della lettura. Nel terzo si analizzando e discutono i i casi specifici nei quali si è esentati dal recitarlo.
Nei capitoli successivi (4-5) il trattato include le norme per la recitazione della tefillà (in italiano “preghiera”, anche se la traduzione non corrisponde del tutto al termine ebraico), in particolare della ‘Amidà. Nel capitolo 5, prosegue il rav Di Segni, è chiarita l’essenza stessa della preghiera e delle regole che la governano.
Nei capitoli 6-8 si trovano invece le leggi riguardanti le berakhòt da recitare prima e dopo aver mangiato, come la benedizione sul pane, quella sul vino, quelle sulla frutta degli alberi e della terra e sugli altri cibi, la Birkàt haMazòn che si recita dopo aver mangiato pane, e altre. Nel capitolo ottavo viene invece citata e discussa una lista di dispute tra la Scuola di Shammài (Bet Shammài) e la Scuola di Hillèl (Bet Hillèl) relative alla condotta più appropriata da tenersi durante il pasto e in altre occasioni. Il nono e ultimo capitolo tratta infine di berakhòt che si recitano in occasioni specifiche. Per esempio, conclude il rav, le benedizioni che si recitano quando si assiste a fenomeni naturali particolarmente notevoli (lampi, tuoni, terremoti, passaggio di comete), quando si vede un luogo in cui sono avvenuti dei miracoli, quando si vede un re, quando si entra in una città pericolosa e se ne esce salvi, quando si ricevono buone o cattive notizie, quando si acquistano vestiti nuovi e via dicendo.
Una grande opera di divulgazione, nuovi strumenti di conoscenza a disposizione di un pubblico ampio. Ma attenzione, ammonisce il rav, “con la traduzione del Talmud offriamo delle chiavi di accesso, ma è essenziale affermare un concetto: il Talmud non si può semplicemente leggere, va studiato”. E per questo, nell’approfondimento del testo, è bene avere un Maestro che ci guidi, che possa essere interrogato, che offra una visione ampia e comparata. “Su tre righe si possono aprire discussioni di un’intera giornata. E questo – afferma rav Di Segni – è il principale motivo di fascino di un testo che in ogni parola riesce a stimolare confronto e pensiero critico”.
Anche per questo l’opera di traduzione è particolarmente complessa, mettendo in gioco diverse professionalità: in primis i traduttori, ma anche un team qualificato di revisori ed esperti. “La traduzione di Berakhòt, avviata in simultanea con quella di altri trattati, ha richiesto circa un anno. Ci hanno lavorato in nove traduttori (fra cui una diplomata del corso di Bagrut, Micol Nahon), il cui contributo è stato poi rivisto da quattro rabbini: rav Riccardo Di Segni, rav Alberto Somekh, rav Jacov Di Segni, oltre a me”. Più in generale, spiega il rav Di Segni, si può stimare che l’opera di traduzione (senza però contare la necessaria revisione) abbia finora coperto quasi metà delle pagine del Talmud. Due, annuncia, i trattati che dovrebbero essere pubblicati nel 2018: Ta’anit, curato dal rav Michael Ascoli. E Qiddushin, curato dal rav Riccardo Di Segni.
Adam Smulevich, dossier Talmud – Pagine Ebraiche gennaio 2017
(27 dicembre 2017)