“Il procuratore Nisman fu ucciso”
L’Argentina chiede giustizia

Il 18 gennaio 2015 Alberto Nisman, magistrato ebreo argentino che da anni indagava sull’attentato al centro ebraico di Buenos Aires del 1994, viene trovato morto nel suo appartamento. A ucciderlo, un colpo di pistola alla testa da distanza ravvicinata. Suicidio, la tesi di una parte della magistratura, contestata da diversi giornalisti e da altri giudici. Pochi giorni prima della sua morte, Nisman aveva accusato l’allora presidente della Repubblica Cristina Kirchner di aver cospirato per insabbiare un’indagine riguardante il coinvolgimento dell’Iran nell’attacco del 1994 in cui furono uccise 85 persone. Il giorno successivo alla morte, il procuratore avrebbe dovuto presentarsi di fronte a una commissione parlamentare per dare conto degli sviluppi della sua inchiesta. A distanza di più di due anni da quei fatti, dopo decine di manifestazione per chiedere la verità su una vicenda gestita in modo poco chiaro, un giudice ha per la prima volta smentito in tribunale la tesi secondo cui Nisman si sia suicidato: in una sentenza di 656 pagine, il giudice Julian Ercolini ha detto che ci sono prove sufficienti per concludere che il colpo alla testa che ha tolto la vita a Nisman non era autoinflitto. Nisman è stato ucciso.
In un rapporto della polizia di frontiera citato dal Guardian, una presunta ricostruzione dei fatti: il procuratore argentino sarebbe stato picchiato da due persone che lo avevano drogato e poi messo davanti alla sua vasca da bagno. Mentre uno degli aggressori lo teneva sotto le ascelle “come in un abbraccio”, l’altro gli mise la pistola alla testa e sparò. Erano di circa 2.46 del mattino di domenica.
L’ indagine elenca prove chiave che non erano state menzionate in precedenza: il setto nasale di Nisman era rotto, aveva subito colpi all’anca e in altre aree del corpo, e la ketamina, un farmaco dalle forti proprietà anestetiche, era stato trovano nel suo corpo, spiega il Guardian. Il nuovo rapporto conclude che gli aggressori hanno tentato di mettere in scena un suicidio, ma sottolinea che altri esperti durante tutta la serie di indagini non hanno mai trovato tracce di polvere da sparo nelle mani di Nisman.
La tesi dell’omicidio ora è contenuta anche nella richiesta di rinvio a giudizio per Diego Lagomarsino, un ex collaboratore di Nisman che stando all’accusa fornì la pistola con cui fu ucciso il magistrato argentino. Lagomarsino è accusato di avere aiutato a inscenare un suicidio, ma l’accusa non spiega in che modo e per quale motivo l’avrebbe fatto.
Prima di morite, Nisman aveva denunciato il tentativo dell’allora presidente Kirchner di coprire il coinvolgimento iraniano nell’attentato al centro ebraico di Buenos Aires del ’94, che ancora chiede giustizia. Secondo il procuratore, Kirchner aveva chiesto al suo ministro degli Esteri Hector Timerman e ad altri funzionari di attivarsi per trovare una qualche forma di immunità per alcune persone di origini iraniane sospettate per l’attacco, sperando in questo modo di migliorare i rapporti diplomatici e commerciali con l’Iran, che ha sempre cercato di negare il suo collegamento con l’attacco all’Amia (Post). Ma a legare Teheran alla strage era stato proprio Nisman, incaricato nel 2005 dall’allora presidente argentino Néstor Kirchner (marito di Cristina) di fare luce sull’accaduto. Il risultato furono settecento pagine d’indagine che portarono nel 2006 alla seguente conclusione: l’attentato era stato organizzato da una cellula del gruppo terroristico Hezbollah – l’attentatore suicida alla guida del furgone, secondo le analisi del Dna, si chiamava Ibrahim Hussein Berro, ventunenne di origini libanesi – su direttiva di sei funzionari iraniani. Le accuse di Nisman furono suffragate nel 2007 dalla commissione esecutiva dell’Interpol (Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale) che spicco il mandato d’arresto per sei persone: Imad Fayez Mughniyah, Ali Fallahijan, Mohsen Rabbani, Ahmad Reza Asghari, Ahmad Vahidi e Mohsen Rezai.
Imad Fayez Mughniyah, noto come Hajj Radwan, era considerato uno dei fondatori di Hezbollah. Nel suo sanguinario curriculum, decine di attentati e centinaia di morti. Le autorità argentine lo indicavano come il responsabile, oltre ai fatti dell’Amia, dell’attentato all’ambasciata israeliana di Buenos Aires del 17 marzo 1992 in cui morirono 29 persone. Il 12 febbraio del 2008 Radwan è stato ucciso a Damasco.
Ali Fallahijan è stato ministro dei Servizi segreti iraniani del presidente Ali Akbar Rafsanjani dal 1989 al 1997. Nel 1996 la Corte tedesca ha spiccato un mandato di arresto contro di lui per l’assassinio a Berlino nel 1992 di tre op- positori iraniani. Nel 2013 era tra i candidati alle presidenziali iraniane. Mohsen Rabbani, considerato il cervello dell’attentato all’Amia, dal 1994 al 1998 è stato consigliere culturale dell’ambasciata iraniana a Buenos Aires. Con lui, tra i funzionari dell’ambasciata, anche Ahmad Reza Asghari.
Tra i nomi di primo piano su cui cade il mandato di arresto quello di Ahmad Vahidi, ministro della Difesa del governo di Teheran dal 2009 al 2013 ed ex capo dei Guardiani della rivoluzione. Ruolo, quest’ultimo, ricoperto anche da Mohsen Rezai, candidato presidente alle elezioni iraniane nel 2009. Rezai ha sempre negato il suo coinvolgimento nei fatti di Buenos Aires.

Daniel Reichel