“Gli abusi commessi sui social sono una violazione della Legge ebraica”
Le opinioni di un mio conoscente sono apparse recentemente su queste pagine. Ho dato un’occhiata ai commenti postati sotto il suo testo e sono rimasto impressionato da quanto alcuni fossero perfidi nei confronti dell’autore e degli altri commentatori. Quasi nessuno dei commenti si riferiva al contenuto del pezzo, erano tutti attacchi personali contro l’autore o chi d’altro avesse commentato. Mi chiedo se questa gente avesse realmente letto il pezzo o semplicemente immaginato il punto di vista dell’autore basandosi sul solo titolo.
“Ė palese che odi Israele e ami i terroristi che ammazzano i bambini nel sonno“ era il commento più cortese. Non è forse una sorpresa che Internet sia uno dei principali responsabili dell’incapacità della nostra società di intavolare un discorso civile. Nella comunicazione istantanea, le persone rispondono spesso a caldo, trascinate dall’enfasi del momento, e dicono cose che probabilmente avrebbero evitato di dire se avessero avuto il tempo di rifletterci su o se avessero dovuto scriverle e mandarle per e-mail.
Gran parte della comunicazione istantanea è poi anonima. Non potrò mai sapere chi sia davvero Banana321, ovvero chi mi augura di morire di una dolorosa malattia. Banana321 si sente libero di scrivere qualsiasi cosa gli passi per la testa, proprio perché sa che il suo commento risulterà anonimo. Sicuramente quei commenti che scrive in forma anonima non li farebbe mai a una festa, di fronte a persone in carne ed ossa.
Il risultato è che Internet invece di incoraggiare la comunicazione reale, la sta soffocando.
Sulla base delle mie competenze rabbiniche ho deciso di vietare la pubblicazione di commenti anonimi sui social. Un rabbino liberale come me solitamente non emette un Psak Din (“decisione di Legge“). Nel mondo ortodosso i più grandi studiosi giuristi sono i Poskim (“i decisori“ della Legge ebraica) e io non mi pongo certo al loro livello. Ma i rabbini hanno pur sempre l’autorità e la responsabilità di applicare la Tradizione ebraica alle questioni morali del nostro tempo e questo dev’essere fatto con attenzione e scrupolo, non a casaccio. Nel definire la mia opinione una Psak Din, voglio sottolineare la serietà di questo problema nella nostra società.
Vorrei ora spiegare perché credo che postare commenti anonimi debba essere vietato.
È vietato perché, così facendo, vengono violati una serie di comandamenti/mitzvot della Torah:
Non porrai inciampo davanti al cieco (Levitico 19:14)
Non andrai qua e là facendo il diffamatore fra il tuo popolo (Levitico 19:16)
Non odierai il tuo fratello in cuor tuo (Levitico 19:17)
Amerai il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19:18)
Scrivere commenti malevoli su altre persone è proprio la definizione di diffamazione, a cui i rabbini si riferiscono con l’espressione Lashon ha-Ra, letteralmente “malalingua“. Postare commenti di questo genere in forma anonima, inoltre, pone sicuramente “inciampo davanti al cieco“.
I rabbini commentano poi che per evitare che si possa pensare che siano proibite esclusivamente le azioni dettate dall’odio il versetto afferma che anche se l’odio fosse confinato all’interno del proprio cuore, sarebbe comunque vietato. Anche scrivere discorsi carichi di odio è una chiara violazione di questa mitzvah. Infine, “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (secondo alcuni il principio cardine della Torah) è l’esatto contrario della malalingua.
Dal momento che sono molte le mitzvot che vengono violate postando in rete commenti malevoli in forma anonima, è importante evitare la pubblicazione anonima anche di commenti benevoli. Si tratta di una “barriera di protezione” che serve a impedire che qualcuno si senta autorizzato a scrivere post anonimi che siano anche solo parzialmente negativi.
Vorrei anche specificare che l’imperativo biblico che consiglia di rimproverare chi sta sbagliando (“hokha’ah tokhiah”-“riprendi pure il tuo prossimo”, Levitico 19:17) non può essere compiuto con un commento negativo postato online. Sebbene il rimprovero implichi inevitabilmente una critica, i rabbini sottolineano che bisogna rimproverare l’altro quando si trova nella condizione di poter recepire l’ammonimento.
Non sarà certo un commento cattivo online a cambiare il comportamento della gente. È anche chiaro che l’intento di tali critiche non è di far sì che il destinatario diventi una persona migliore; l’intento, piuttosto, è di ferire o mettere in imbarazzo. Questo non è lo scopo del rimprovero. I rabbini, infatti, interpretano il finale di questo versetto come il divieto di infangare pubblicamente l’immagine di qualcuno, divieto che si applica perfettamente al trolling online.
I dettami del Levitico disegnano una società ideale, compassionevole, in cui l’amore per il prossimo è tale da muoverci a rimproverarlo con dolcezza e per il suo bene. È una visione sicuramente ambiziosa, ma in fondo essere santi vuol dire proprio questo.
Sforziamoci quindi di essere quei santi che la Torah ci sfida a diventare. Riflettiamo sui nostri interventi online e tratteniamoci dal dire cose che facciano male, e chiediamoci se sia giusto nascondersi dietro nomi falsi o scrivere espressioni diffamatorie, anche sotto i nostri veri profili social.
Dopotutto D. ha creato il mondo attraverso la Parola e anche noi il nostro mondo, virtuale e reale, lo ricreiamo attraverso la parola.
Michael Strassfeld, The Forward
Society for the Advancement of Judaism – New York
Versione italiana di Francesca Antonioli, studentessa della Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, tirocinante presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane