giustizia…

La Torah ci presenta con tre diversi episodi alcuni tratti essenziali del carattere di Mosè, che si manifestano nel tempo in cui egli prende coscienza di far parte del popolo d’Israele e della condizione di sofferta schiavitù in cui versavano i suoi fratelli. Nella successione di questi episodi si manifesta in forma crescente il profondo senso di giustizia di Mosè, che evolve da un ambito più strettamente personale, connesso alla presa di coscienza della sua identità, per divenire espressione di una illimitata e indistinta esigenza umana di azione in difesa del diritto e a protezione del più debole. Nel primo evento Mosè interviene a difesa di un ebreo percosso da un egiziano e colpisce a morte l’aguzzino: “Vide un uomo egiziano che colpiva un uomo ebreo dei suoi fratelli” (Esodo 2,11), in quella circostanza egli esprime quindi il pieno manifestarsi del legame di solidarietà a difesa di un fratello ebreo in grave pericolo. Nel secondo episodio Mosè si interpone fra due ebrei che altercavano e apostrofa duramente l’aggressore: “Disse a colui che era in torto: perché colpisci il tuo prossimo?” (Esodo 2,13), in questo caso Mosè prende posizione tra due ebrei nel momento in cui scorge, anche fra loro, un comportamento iniquo. Infine, nel terzo episodio (Esodo 2, 16-17) Mosè interviene per proteggere alcune giovani pastorelle midianite che, avendo condotto il loro gregge al pozzo, ne erano state allontanate con la forza da alcuni pastori; qui l’azione di Mosè per ristabilire la giustizia è del tutto avulsa da qualsiasi legame con il suo popolo ed era anzi rivolta verso persone con le quali egli non aveva, fino a quel momento, legame o condivisione di sorta. Tra questi episodi, quello iniziale, destinato a fornirci il primo gesto che Mosè compie per il suo popolo, è segnato da un atto, l’uccisione dell’egiziano, la cui gravità non è affatto sfuggita ai commentatori che ne hanno dato divergenti spiegazioni; alcune di queste giustificano l’azione di Mosè con l’immediata situazione di pericolo in cui veniva a trovarsi l’ebreo aggredito, altre si riallacciano ad approfondimenti dell’evento proposti dal midrash, nei quali l’egiziano è ritenuto colpevole di ulteriori umilianti angherie e vessazioni nei confronti degli ebrei; alcune spiegazioni tuttavia esprimono il dubbio che effettivamente la situazione descritta nel testo fosse tale da attribuire a Mosè il diritto di togliere la vita,sia pure ad una persona colpevole e spregevole. Troviamo in particolare un midrash (Midrash petirat Moshe) che immagina, al volgere conclusivo della vita di Mosè, un dialogo con il Signore, nel quale il profeta cerca insistentemente di conoscere quale fosse la colpa che D.O gli attribuiva e per la quale doveva subire la sorte finale di tutti gli esseri umani; a conclusione di questo incalzante confronto, il Signore rimprovera a Mosè proprio l’uccisione dell’egiziano: “Ti avevo forse detto di ucciderlo?”.
Nello stesso contesto narrativo, nel medesimo episodio con il quale la Torah, di fatto, ci indica nella strenua ed incondizionata ricerca di giustizia le doti morali per cui Mosè viene scelto da D.O, alcuni dei nostri Maestri non hanno esitato a cogliere l’elemento problematico sul quale la coscienza esprime dei dubbi; anche il coraggio di esprimere un simile accento critico alimenta la forza morale che sostiene popolo ebraico.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(3 gennaio 2018)