Setirot – Il libro di Giona
A me “Il libro di Giona” piace molto, per questo mi capita di riprenderlo a volte in mano. L’esatta ragione non la so – sarà perché è particolarmente ricco di metafore e di letture diverse, sarà perché è un racconto a prima vista “facile”, sarà perché suscita qualcosa di forte nel mio inconscio… chissà.
Fatto sta che anche recentemente me lo sono riletto, scegliendo il commento del rav Roberto Della Rocca (un Della Rocca ben giovane, visto che il testo fu pubblicato su “La Rassegna mensile di Israel” n.3 del 1994). E dato che Roberto Della Rocca è uno dei rabbanim a cui va, oltre che la mia stima, il mio affetto (uno dei pochi che mi sono amici e mi sopportano pur sapendo il mio essere a detta di qualcuno – diciamo così – un “cattivo ebreo”) spero mi perdonerà se butto qui in maniera casuale, random, alcune sue righe su cui, a mio modesto avviso, è bene soffermarsi e ragionare. Salvo poi, ovviamente, trarne ognuno le proprie conclusioni.
«L’ebreo fuori posto è come sempre causa di tempeste e capovolgimenti per se stesso e per gli altri (…). Giona sembra essere un ebreo che sa ma non mette in pratica (…). L’aspetto più drammatico e caratterizzante del libro di Giona resta il finale, o meglio piuttosto la mancanza di finale (…). Sconfitto dalla vita, umiliato da Dio, questo antieroe, benché scelga la disperazione per se stesso e per gli altri, pensa agli altri prima di pensare a se stesso. Sceglie la vita, sebbene piena d’angoscia, per impedire agli altri di morire (…)».
Stefano Jesurum, giornalista