MEMORIA Meglio di così non si può dire
Romain Gary / GLI AQUILONI / Neri Pozza
Al lettore italiano Neri Pozza, editore benemerito per aver riproposto un mostro sacro in Italia come Romain Gary, offre un’altra sua gemma: Gli Aquiloni (1980). Romain Gary (pseudonimo di Roman Kacew) è un litvak di radicamento francese; nacque infatti a Vilna nel 1914, nella Yerushalayim de Lita, ovvero “La Gerusalemme della Lituania”. Se è noto il grande ascendente esercitato dalla madre, minore è stato il rilievo che si è dato al padre Arieh-Leïb Kacew, ucciso dai nazisti come gli altri ebrei lituani, sterminati in massa dagli Einsatzgruppen nell’ottobre del 1941. Lo scrittore si deve considerare un figlio della Shoah con tutto quello che implica sul piano letterario. Alla fine della guerra pubblica il suo primo romanzo: Educazione europea ed inizia la sua carriera di diplomatico. Nel 1956 ottiene il premio Goncourt per Le radici del cielo. Con lo pseudonimo di Émile Ajar condusse una segreta e incredibile doppia vita artistica pubblicando romanzi di enorme successo, come La vita davanti a sé (1975) che gli valse un altro Goncourt e L’angoscia del re Salomone (1979) La ricerca “dell’umano fondamentale, dell’umano essenziale” attraverso l’ebreo “caso estremo dell’uomo” può dirsi il motivo dominante della letteratura di Gary. In questa recherche “niente di ciò che era ebraico poteva essermi estraneo”, scrive in Les enchanteurs. Les Cerfs-volants è ultimo atto di tutta una serie di capolavori e di una straordinaria carriera di scrittore. Gli aquiloni che confeziona lo zio di Ludo rappresentano i fragili emblemi della libertà e dei valori umanisti che i tedeschi nella Francia occupata sono incapaci di distruggere. Essi non sono fatti per perdersi nell’azzurro, ma mantengono un legame con la terra. Se il romanzo prima facie può apparire come una tenera storia d’amore tra Ludo e Lila nella Francia occupata, non mancano spunti di profonda riflessione. Madame Julie ad un certo punto dice: “Il bianco e il nero, ne ho piene le tasche. Il grigio, non c’è che questo di umano”. Gary in Educazione europea aveva fatto intendere che sarebbe stato troppo semplice confinare il male solo nei nazisti. Certo in quel momento il male si incarnava in loro, ma le figure del vecchio Augustus, fabbricante di giocattoli musicali e del giovane disertore tedesco che si unisce alla lotta partigiana, poi entrambi fucilati dai partigiani, sono lì a dire che anche loro sono contaminati dal male contro cui stanno lottando. Come spiegava Tzvetan Todorov, Gary mise in luce che “i nazisti rivelano un aspetto di tutta l’umanità – anche di noi; vincere questo male è ben più difficile che trionfare sui nazisti”. Chi sta dalla parte giusta, schierato dalla parte della virtù non per questo è preservato dal male. Beninteso, non è relativismo, “ma i vincitori rischiano di restare accecati, di relegare il male negli “altri” e di ignorarlo in se stessi. La buona coscienza rischia di giocare loro un brutto tiro”. In seguito, come è noto, Primo Levi nei Sommersi e salvati (1986) parlò di “zona grigia” e come Gary si eresse contro ogni forma di manicheismo. Riferendo di un SS, in genere spietato, che un giorno ebbe un moto di compassione per una vittima, Levi voleva significare che “C’era un’ampia zona grigia. Anzi era quasi integrale. Allora eravamo tutti grigi”. Quando parla di Chaim Rumkovski, il discusso presidente del Judenrat di Lodz, Levi lo fa senza prediche e senza indignarsi. Di fronte al male lo scruta per una meditazione sull’umano. Il romanzo si conclude con queste misteriose parole: “…car on ne saurait mieux dire”, le stesse che lo scrittore riservò in una lettera alla stampa al momento del suicidio, esortando a ricercare le ragioni del suo gesto nelle parole del suo ultimo romanzo: “perché meglio di così non si può dire”. Mi sono infine espresso interamente. Gli Aquiloni chiudono magistralmente l’opera di Gary. È il romanzo di un cuore stanco ma pacificato, di uno splendore tutto umano. Uno dei più belli. Uno dei più sereni.
Luca De Angelis, Pagine Ebraiche, gennaio 2018