Ticketless – Carla Gobetti
La notizia della scomparsa di Carla Gobetti mi ha colto di sorpresa. Affiorano tanti ricordi. Per chi arrivava a Torino nella seconda metà degli anni Settanta, il Centro Gobetti era un’isola serena circondata da un mare in burrasca. Non che i venti di quel periodo turbinoso venissero respinti dalle finestre policrome di via Fabro. Tutt’altro. I seminari che si tenevano al Centro rispecchiavano il fuoco della passione: Bobbio con fatica cercava di governarli e di darvi un ordine di rigore e di chiarezza, accasando i tuoni di fuori, ma non sempre ci riusciva. Nessun sarebbe stato capace di farlo. Un giovane inesperto di politica faticava a orientarsi di fronte alle promesse di chi ti diceva che un altro mondo era a portata di mano. Si respirava tuttavia un’aria famigliare e di quella sede frugale, piena di libri, con tavoli da lavoro austeri, una scheda di lettura che si compilava con orgoglio vedendo incorniciato l’esemplare compilato a mano da Primo Levi, Carla era una specie di Regina. Senza scettro e senza corona, ma regale nel portamento e nella certezza della parola data a un amico. Conservava i tratti di quel calvinismo torinese che tanto aveva infiammato Piero. Nel furore delle ideologie dei Settanta, aveva saputo tenere i piedi per terra: pensava alle carte, alle annate delle riviste, alla emeroteca, alla custodia degli archivi dello stesso Sessantotto (sono ospitate lì le carte di un giovane prematuramente scomparso, Marcello Vitale). Da Ada Gobetti, Carla aveva ereditato l’anticonformismo, il rifiuto della ipocrisia, la tutela offerta alle minoranze dei senza partito come Carlo Ottino, Nanni Salio, Costanzo Preve. Negli scantinati di via Fabro Goffredo Fofi aveva raccolto il materiale per il suo libro sugli emigrati meridionali a Torino.
Uno spirito anarchico-francescano, quello del Centro di Carla Gobetti. Tenne viva la memoria di Emanuele Artom nei lunghi decenni della damnatio memoriae e non aspettò il 1988 per denunciare ad alta voce, con quella sua tipica voce sibilante, il suo no alle leggi razziali.
Alberto Cavaglion