Perché piantare un albero
“Una parabola rabbinica: un vecchio stava piantando un albero di carrube, quando passò uno che gli disse: «Perché pianti questo albero? Non arriverai mai a mangiare i suoi frutti». E il vecchio rispose: «Io mangio i frutti dell’albero che hanno piantato i miei avi, questo lo pianto perché lo mangino i miei nipoti». C’è una responsabilità, una zedaqà, una solidarietà verso le generazioni future […] La responsabilità verso di loro è un dovere di oggi, e quindi, di nuovo, verso ciò che esiste, per ciò che esisterà”. Queste parole sono contenute nello scritto “Giustizia, solidarietà, globalità” del teologo cattolico Paolo De Benedetti, scomparso poco più di un anno fa dopo una vita contrassegnata dal confronto e dal dialogo con le radici ebraiche del cristiano, radici che per De Benedetti erano anche famigliari.
In un’epoca in cui l’uomo è più pericoloso per la natura, perciò anche per le generazioni dei figli dei nostri figli, di quanto un tempo la natura lo fosse per lui, torna alla mente la riflessione di Hans Jonas sulla responsabilità da condividere qui e ora e sulla necessità di un’etica delle generazioni future. Durante il dibattito elettorale che conduce in Italia alle elezioni politiche ho sentito finora molti annunci: numerose promesse di cogliere o anche saccheggiare i frutti degli alberi che ci circondano, poche invece di piantare nuovi alberi. Sono convinto che riflettere su questa differenza sia importante per decidere a chi dare il nostro voto.
Giorgio Berruto, HaTikwà/Ugei