Qui Torino – Strategia di salvezza
Presentata nei locali della Comunità ebraica di Torino l’opera di Liliana Picciotto Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945 (Einaudi, 2017), frutto di un lavoro di ricerca durato nove anni all’interno del progetto Memoria della salvezza del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC). Il volume, pubblicato a settembre, si pone a completamento dell’opera prima di Picciotto Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945). A discuterne con l’autrice, Alberto Corsani, direttore della rivista Riforma e Fabio Levi, docente di storia contemporanea all’Università di Torino e direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino. Moderatore della serata David Sorani, consigliere della Comunità ebraica Torino. Ad aprire la presentazione i saluti di Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica di Torino e Luciano Boccalatte, direttore di Istoreto.
“Si tratta di un testo fondamentale – ha affermato Sorani – perché analizza con la metodologia dello storico che non dà niente per scontato un settore poco analizzato almeno in Italia: le storie di sopravvivenza, di alternativa all’abisso”.
È stato poi Fabio Levi a prendere la parola, partendo da uno specifico paragrafo del libro, Geografia della salvezza, in cui si dà il quadro d’insieme del peso specifico della provenienza geografica nella dinamica della salvezza. “Gli ebrei erano nomadi: chi si muoveva verso la Svizzera, o verso le campagne, chi nelle grandi città che offrivano un contesto più anonimo per sottrarsi alla caccia all’uomo”. “In ogni città – ha proseguito Levi – il problema della salvezza si poneva in modo diverso anche a seconda del periodo specifico in cui ci si trovava”. Poi lo studioso si è soffermato sui Numeri: erano 37994 gli ebrei Italiani e stranieri che risiedevano in Italia prima delle persecuzioni. I salvi, e non i salvati, scelta linguistica non casuale ed ecco il perché del titolo Salvarsi, sono l’81%: “La salvezza non è il frutto della relazione con l’altro, ma avviene sempre a partire dai soggetti stessi”. “Ripensare la geografia della salvezza – ha spiegato Levi – aiuta a sollevare più di un interrogativo: come è stato possibile che in Italia sia stato offerto tanto aiuto solo dopo il 1943?”. Cosa rappresenta l’8 settembre? “Il collasso delle istituzioni dello Stato Italiano, dove viene a cadere la delega che gli italiani avevano dato al regime fascista. Ogni italiano diventa così responsabile di sé stesso in una situazione di estremo e crescente pericolo”.
Alberto Corsani ha poi messo in luce l’esperienza del mondo valdese rispetto alla persecuzione degli ebrei per poi offrire una riflessione di carattere generale: “Poter incrociate la storia orale con i documenti, quindi il ricordo con la statistica, è fondamentale per la creazione di una memoria non autocentrata e più interiorizzata”. Corsani ha ricordato una delle tante realtà che hanno visto i valdesi impegnati nel soccorrere famiglie ebraiche, soffermandosi sul piccolo paese di Rorà: “Gli ebrei ospitati a Rorà erano il 10% della popolazione, nessuno parlò”. Nonostante i piccoli comuni fossero per definizione meno sicuri, era tuttavia più difficile che qualcuno facesse la spia. “Alla base quindi una forte coesione sociale”.
Infine l’intervento dell’autrice, che ha ricordato le “tre valorose persone” che hanno composto il team di lavoro: Gloria Pescarolo, Luciana Laudi e Chiara Ferrarotti (scomparsa nel settembre dello scorso anno, z’l). Un ringraziamento anche al gruppo di ricerca torinese, guidato da David Terracini. L’opera vuole restituire quella che Picciotto ha definito “la voce collettiva degli ebrei d’Italia tra il ‘43 e il ’45, fatta di incredibili strategie di salvezza che cercano di restituire la complessità e la precarietà di ogni tentativo di non perdere la vita”. Dal cambiare indirizzo e identità che voleva dire avere amicizie tra gli impiegati comunali, al tenere conto del pericolo a cui gli stessi soccorritori si esponevano, dal fatto di aver messo da parte dei soldi, al riuscire a comprare il cibo al mercato nero, tutto questo senza uscire di casa troppo spesso. “Piccole cose all’apparenza, ma grandi cose che assieme hanno costituito uno stress collettivo subito dalla popolazione ebraica di allora, uno stress da cui non ci siamo ancora ripresi”, ha affermato la studiosa. Infine, per rispondere all’interrogativo posto da Fabio Levi, Picciotto ha analizzato la dinamica post 8 settembre: “Si assiste a un cambiamento di prospettiva: il pericolo immediato del vicino di casa fa scattare la solidarietà privata”. “Sono quindi due le Italie – ha concluso – una alla luce del sole e una sommersa dove a regnare era il coraggio individuale”. Se “Italiani brava gente” è un’etichetta che va dimenticata perché ridotta a slogan, invece è giusto far emergere l’altra Italia, quella privata che ha dimostrato una profonda solidarietà”.
Alice Fubini