Dialogo…

Oggi 17 gennaio, nel calendario ebraico Rosh Chodesh, inizio del mese di Shevat, si svolgono diversi incontri di carattere interreligioso nell’ambito della giornata dedicata al dialogo della Chiesa Cattolica con gli ebrei; dallo scorso anno, dopo l’analisi dei Dieci Comandamenti, la giornata è dedicata allo studio delle Cinque Meghillot – i Rotoli – quest’anno in particolare l’attenzione è rivolta alla Meghillà di Ekhà, nota in italiano come Lamentazioni. Questo libro biblico – fa parte dei Ketuvim, gli Agiografi – presenta, in un’elaborata forma poetica, descrizioni e sentimenti legati alla desolazione di Gerusalemme conquistata dai nemici e alla distruzione del Santuario; pur senza un esplicito riferimento, il testo allude alla caduta della Città per mano dei Babilonesi, nel 586, tuttavia la tradizione ebraica associa in un unico ricordo la distruzione del Santuario di Salomone, quello appunto distrutto dai babilonesi e la distruzione del 2° Santuario, compiuta dalle truppe di Tito nel 70 e.v. Nella data ebraica commemorativa del 9 di Av, , giorno di Digiuno, ha luogo la lettura di questa Meghillà, la sera e la mattina in un clima segnato dalla ritualità ebraica del lutto.
Nel contesto dell’odierno incontro di dialogo con la Chiesa Cattolica, è significativo ricordare proprio le prime parole del testo, che riportano la desolata solitudine della città e lo stupore del Profeta (secondo la tradizione ebraica l’autore è il Profeta Geremia) “ Come mai siede solitaria la città già piena di popolo? E’ divenuta come vedova; la grande tra le genti, la principessa tra le nazioni è divenuta tributaria “. La prima immagine, persino prima di altri passi che compiangono la distruzione del Santuario, è dedicata al ricordo della Gerusalemme perduta, una città piena di vita, riconosciuta tra i popoli nella sua immagine di metropoli, in cui la grandezza e la dignità testimoniavano anche del suo carattere spirituale, del suo legame con il Signore, un’impronta spirituale che veniva esaltata proprio nel suo essere luogo assolutamente concreto, con le sue vie e le piazze, le case semplici e i palazzi, gli atri e i mercati, un luogo di “questa terra”, anche con il nome, di “Ir David”, la città che dal re David fu scelta come capitale del suo regno. Gerusalemme, tanto più oggi che ritorna alla vita, è per noi ancora il luogo del pianto per il Santuario distrutto e della speranza nella sua ricostruzione, è certamente la citta di Zion, da cui uscirà la ” Torah e la Parola di D.O” ma ci appare anche come la città capitale di Israele, luogo essenziale della nostra identità, che torna ad essere fermento di vita concreta, grande, importante per i suoi abitanti, per coloro che la visitano, genti di tutti i popoli e di tutte le religioni, e per coloro che per essa e verso di essa si rivolgono in preghiera.
La circostanza in cui torniamo ad occuparci di questo testo delle Lamentazioni è ovviamente importante per il dialogo con la Chiesa Cattolica , per le relazioni reciproche e per il valore che questo dialogo, su alcuni aspetti dell’etica e della responsabilità verso il creato, può avere anche nell’ambito della società in cui viviamo; tuttavia la giornata odierna nel calendario ebraico non ha affatto il carattere luttuoso richiamato da questo testo, bensì quello più sereno, ispirato dalla ricorrenza del Capo Mese; nel concreto della liturgia odierna una delle letture bibliche nei Salmi di Lode – Hallel – è il capitolo 113 dei Salmi, che si conclude con la lode al Signore che “ rende la donna sterile madre felice di figli”; la spiegazione di Rashì che interpreta queste parole come un’allusione profetica a Zion che torna a godere di numerosa prole, l’immagine di Gerusalemme come città che ritrova il popolo d’Israele, i suoi figli, mi sembra l’immagine più significativa con cui suggellare la riflessione del dialogo sul Libro delle Lamentazioni.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(17 gennaio 2018)