Makhshevet Israel – I linguaggi che migliorano il mondo
In che rapporto è il linguaggio con il mondo? Seguendo l’analisi di J. R. Searle (1979) possiamo distinguere tra caso in cui ‘le proposizioni vanno verso il mondo’ e quello in cui è ‘il mondo ad andare verso le proposizioni’. Cosa significa questo? Nel primo caso Searle restituisce la “direzione di adattamento” che intercorre tra le proposizioni descrittive (“fuori piove”) e la realtà empirica; è questo il caso, per parafrasare il Wittgenstein del Tractatus, in cui “le antenne del linguaggio” toccano il mondo. Nel secondo caso Searle indica la direzione di adattamento che intercorre tra le proposizioni di tipo prescrittivo (“apri quella porta!”) e l’agire degli uomini; in questo caso è appunto il mondo – ossia l’agire sociale – a doversi adeguare al linguaggio. La leshon ha-kodesh, il linguaggio della Torah e del Talmud ha, come evidente, uno spiccato carattere prescrittivo. Tanto che è ricorrente quell’immagine che vorrebbe Atene, ossia la tradizione filosofica greca, come riferimento per quel linguaggio, filosofico in senso lato, finalizzato alla descrizione e comprensione del reale e Gerusalemme, ossia la tradizione ebraica, come riferimento principe per quel linguaggio (etico?) finalizzato a prescrivere all’uomo come deve agire. Certo è una contrapposizione debole come lo stesso etimo di ‘etico’, che è di radice greca, segnala. Tuttavia le halakhot che innervano Torah e Talmud mostrano la parte di verità che di questa contrapposizione (Atene / Gerusalemme) qui rileva: la leshon ha-kodesh non è interessata a dire come il mondo è ma come quella singola collettività, che è Israele, deve agire – non senza rapporto alle prescrizioni sancite per i bene Noah. Ora la direzione di adattamento del mondo al linguaggio presentata dal carattere prescrittivo della leshon ha-kodesh è in qualche rapporto con la direzione inversa, quella propria al linguaggio descrittivo? Si potrebbe rispondere in molti modi. Dall’interno della Tradizione stessa, ad esempio, interrogando la natura di “tutto ciò che non è halakhà” (come, per via negativa, si traduce Aggadà) e quelle componenti che sono prescrittive, nella loro formulazione, ma che non svolgono una funzione prescrittiva, come le divre ha-yahid, le parole del singolo (in minoranza). Oppure, ancora si potrebbe nuovamente sottolineare la differenza di interessi tra ‘Gerusalemme’ e ‘Atene’, mettendosi nei contesti necessari a scuola da quest’ultima perché, per parafrasare Levinas, non vi è fisica e logica che non sia ‘greca’. Pure è proprio Levinas a segnalare, al di là del contenuto delle prescrizioni della Tradizione, come sia il primato del ‘dover essere’, di quel “no” (non agirai in questo o quel modo) contrapposto al conatus essendi, ad inaugurare una relazione al mondo tale da permettere, attraverso il rapporto interpersonale e quindi il linguaggio, la conoscenza così suggerendo non soltanto una relazione tra il linguaggio prescrittivo e quello descrittivo ma anche un primato del primo sul secondo.
Cosimo Nicolini Coen