…accoglienza

Lo si dice spesso con orgoglio, Israele è l’unica vera democrazia in Medio Oriente. E come tale, la società israeliana (e di riflesso quella ebraica della Diaspora) si confronta oggi con un problema del tutto simile a quello che attanaglia i paesi europei e nord americani: come trattare la questione dell’immigrazione. Più in particolare, come regolamentare la richiesta e l’accoglimento di domande di asilo politico o umanitario. La risposta dell’attuale governo è stata molto decisa: espulsione. Non è chiaro se siano stati negoziati accordi con il Rwanda e l’Uganda (che negano). Di certo i richiedenti asilo (la gran parte dal Sudan e dall’Eritrea) rischiano, tornando in patria, di essere perseguitati duramente e versano quindi in chiaro stato di pericolo. I numeri sono consistenti: si parla di 40.000 persone, di cui alcune migliaia già “rimpatriate” e altre in procinto di essere espulse.
È evidente che la questione assume per un paese come Israele e per l’ebraismo diasporico forti connotazioni etiche e smuove molte coscienze. Sono numerose le voci di protesta che si alzano da varie parti contro la decisione assunta dal governo Netanyahu. Numerosi rabbini sia in Israele sia negli Stati Uniti hanno firmato lettere e appelli richiamando le coscienze al dovere di ospitalità verso gli stranieri. Altri hanno ricordato i salvataggi di migliaia di ebrei durante lo sterminio, chiedendo allo Stato d’Israele di comportarsi con coraggio allo stesso modo, offrendo ospitalità e aiuto a queste masse di disperati. Il livello di moralità di una nazione si misura certamente anche di fronte a prove come questa. Di certo Israele non può farsi carico di numeri elevati di rifugiati, specialmente di fronte all’enormità della crisi umanitaria e demografica che ribolle ormai da anni in Africa e che mette in crisi compagini ben più attrezzate e strutturate, come l’Unione Europea. E tuttavia il dovere tutto ebraico di mettere in atto azioni di accoglienza e di supporto all’umanità disperata che tenta di sfuggire a regimi oppressivi e alle persecuzioni richiede l’adozione di politiche aperte e ragionevoli. Non si può, in tutta coscienza, rifiutare aiuto a chi – se rimpatriato – va incontro a morte e persecuzione. Non è accettabile l’adozione di doppie morali. In questi giorni, in cui siamo chiamati a riflettere sul buco nero della coscienza civile che ha condotto allo sterminio di milioni di ebrei in Europa, deportati e mandati a morte in maniera sistematica e volontaria (alcuni scrivevano “volonterosa”), è oltremodo necessario affrontare con giudizio situazioni che – negli esiti – rischiano di essere simili. L’Indifferenza, atteggiamento negativo contro il quale ci troviamo a ragionare ormai quotidianamente, deve di necessità far spazio all’attenzione e alla cura. Buone pratiche, sulle quali si devono studiare strategie politiche opportune, che riescano nel contempo a salvare vite umane e a preservare le esigenze della società israeliana. Che sono poi le medesime questioni che si affrontano oggi, in tempi di campagna elettorale, nella nostra Italia.

Gadi Luzzatto Voghera, storico