Cosa ci insegna Liliana
Venerdì scorso, poco prima di Shabbat, ho provato un senso di profonda commozione. Senatrice a vita. Il massimo onore della Repubblica per Liliana Segre, una donna ebrea, sopravvissuta ad Auschwitz, un’intellettuale e una testimone. Non credevo che un riconoscimento istituzionale potesse provocare in me un’emozione così forte. Ne ho ricercata la causa – mentre ringraziavo col pensiero il presidente Sergio Mattarella – e mi sono domandato perché proprio lei, e perché proprio oggi.
Immagino che vi possano essere alcune ragioni politiche legate all’attualità: Liliana è una donna, e questo è un dato cruciale in un’epoca come la nostra; di fronte al manifestarsi, poi, di forme di fascismo vecchie nuove in Italia e in Europa, il Quirinale ha scelto di schierare in modo netto le strutture dello Stato democratico; in terzo luogo, la nomina arriva a poca distanza dal rientro in Italia delle salme dei Savoia: un atto umanitario che gli eredi hanno stoltamente provato a strumentalizzare, che non deve mitigare il severo giudizio della storia sul re, ribadito proprio dalla decisione più recente.
Ma provo a ricercare nei dettagli della testimonianza di Liliana altre motivazioni, per così dire ermeneutiche, sfumature straordinarie che assumono un’urgenza particolare: il suo insistere, in ogni passaggio della narrazione, sull’indifferenza delle persone comuni, quella parola terribile che lei stessa ha voluto scolpita sul muro del Binario 21 alle Stazione centrale di Milano. Indifferenza degli svizzeri, dei milanesi, dei polacchi, dei tedeschi, dei passanti e dei ferrovieri, delle guardie. E la forza di cogliere i relitti del bene anche nell’orrore, nei gesti per esempio dei carcerati di San Vittore, ultimi e colpevoli tra gli ultimi, capaci però di non dimenticare la loro umanità di fronte alla punizione ingiusta di altri esseri umani. Ma lo sguardo dolce di fronte agli animali nei vagoni piombati, che tutti scegliamo di ignorare perché diretti al macello, o persino di fronte ai cani abbandonati dalle SS mentre si spogliavano delle divise per fuggire ai russi o agli americani. La scelta del bene, quando un carnefice butta via la pistola e la “vecchia ragazza” di 14 anni respinge la tentazione di impugnare l’arma e vendicarsi, per trasformarsi nella “donna libera di oggi”. Il suo inno, infine, alla vita voluta e desiderata con tenacia, selezione dopo selezione, monito ai giovani che sono oggi spesso tentati di buttarla via con stupidaggini e imprudenze.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(23 gennaio 2018)