Padova – Salvarsi a Shanghai
Un pezzo di storia del Novecento ancora poco conosciuto: l’arrivo di decine di migliaia di Ebrei in Cina in fuga dalla ferocia nazifascista durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e il loro insediamento in un quartiere di Shanghai. È quanto racconta la mostra “Gli ebrei a Shanghai”, in esposizione in questi giorni nel Museo della Padova ebraica.
Significativo, si ricorda nella mostra, fu l’aiuto offerto dal console generale cinese a Vienna, Ho Feng Shan, che, nonostante la forte ostilità del ministero degli Esteri cinese e dell’ambasciatore cinese a Berlino interessati a mantenere l’appoggio della Germania nella lotta cinese contro il Giappone, concesse visti a circa 13mila persone, aprendo loro una via di salvezza.
Attraverso fotografie, documenti e testimonianze, l’esposizione curata dall’Istituto Confucio all’Università di Padova insieme al museo illustra alcuni aspetti della vita collettiva vissuta a Shanghai nel periodo 1938 – 1948.
Momento chiave il 1942: con l’ingresso dei giapponesi a Shanghai, le autorità nipponiche imposero l’istituzione di un’area designata per i rifugiati ebrei, definiti apolidi, chiudendoli nel quartiere di Hongkou che divenne sostanzialmente un ghetto all’interno della città di Shanghai. I giapponesi però non misero mai in pratica i piani tedeschi di sterminio della popolazione ebraica. Il ghetto fortunatamente esaurì la sua funzione nell’immediato dopoguerra, quando la maggior parte dei residenti si trasferì negli Stati Uniti, in Australia, in Canada o in Israele per iniziare una nuova vita.
(23 gennaio 2018)