STORIA Germania, fare i conti con lo sterminio
Siegfried Lenz / IL DISERTORE / Neri Pozza
Germania, 1951. Siegfried Lenz (1926-2014) pubblica C’erano sparvieri nell’aria, un racconto sull’apparato repressivo del potere. Due anni dopo pubblica Duello con l’ombra, un testo dove il tema è il senso di colpa dei tedeschi. Tra i due si colloca II disertore (ma originariamente il titolo sarebbe dovuto essere Là ci rivedremo) respinto da Hoffmann und Campe Verlag di Amburgo, l’editore di tutti suoi libri. Perché era meglio soprassedere e non pubblicare quel libro nel 1952? Perché la diserzione era un tema tabù, mentre non lo era il senso di colpa? Il disertore – pubblicato postumo nel 2016 è un romanzo in cui gli ultimi mesi di guerra dell’esercito tedesco sul fronte dell’Est Europa sono solo un pretesto. ll tema è come si fanno i conti, dopo, a guerra finita, con quel passato, che cosa si racconta, che cosa si è disposti ad ammettere, che cosa non si vuole né dire né ascoltare. ll tema non è come non ci si è ribellati allo sterminio ma è, più radicalmente, perché non ci si è rifiutati di fare la guerra. La risposta che Lenz mette in bocca a una delle voci di questo romanzo è che il problema è il giudizio che si ha di sé, l’autostima. Tutti protagonisti di questa storia hanno il malessere della guerra che combattono, Walter Proska (la voce narrante del romanzo) scampato a un attentato partigiano, si innamora di una partigiana, da lei sa che avrà un figlio, non la reincontrerà; il sottotenente WilliStehauf, uno che ancora crede alla guerra, ma sa che ormai il gruppo di soldati che comanda non è più un esercito; Zwiczosbirski, detto “Gamba” che intraprende una sua guerra personale con un enorme luccio: si dimostra sempre più scaltro di lui; Wolfgang Kiirscner, detto “Pan di Latte”, il ribelle del gruppo, quello che per primo diserta e va dall’altra parte, per convinzione. La scelta di Pan di Latte nasce dal rifiuto del falso e dalla necessità di dare voce all’intransigenza. Disertare non è identificarsi con le ragioni del nemico, ma fare radicalmente i conti con la propria parte e con se stessi. «Sono scappato – dice Pan di Latte – perché a stare con voi non ce la facevo più. Presi uno per uno vi avrei ancora sopportato, ma così tutti insieme, tedeschi organizzati e pervasi di senso del dovere, non vi reggevo più. Lo so che nel forte ci stavate quasi tutti malvolentieri, e so che avevate nostalgia di casa e odiavate quelli che vi avevano spedito qui. Odiare una parte sola è accettabile, ma se uno si ritrova a odiarne due, deve ammettere di trovarsi in un dilemma in cui si è cacciato da solo. I tedeschi spingono la propria abnegazione al punto da vedere un precipizio come un pericolo solo per gli altri» [pp.172-173]. E a Proskache gli rimprovera di essere andato dall’altra parte per stare con i vincitori, replica che ciò che è da combattere e contrastare «è il risentimento nazionalista. Un risentimento – aggiunge – che è alla radice della presunta superiorità tedesca e la fonte di questo stramaledetto senso di predestinazione» [p.17s]. Una condizione che è nella retorica del senso di colpa perché fondata sull’assunzione di responsabilità senza fare per davvero i conti con la proprie debolezze e per questo incapace di, o forse più precisamente non disponibile a, contrastarle. L’effetto sarà, sostiene Lenz, credere di curarle usando la stessa forza di convinzione, ora rovesciata di segno, che aveva agito da motore nel sistema nazista. 1 conti con lo sterminio si fanno a partire dalla forza di chi ha il potere, lo rappresenta, vi si identifica e consente di realizzarne le intenzioni. Lì si mette in questione la memoria. Memoria non è ricordare e far ricordare ma, come sostiene Zygmunt Bauman (nel suo L’ultima lezione, Laterza), è «prendere posizione sul corso degli eventi passati».
David Bidussa, Il Sole 24 Ore Domenica, 23 gennaio 2018