Il Giorno e il suo bilancio
Sento molto discutere, in questi giorni, del fallimento del compito del Giorno della Memoria, di come la sua missione sia forse esaurita rispetto agli intenti (di collante europeo, nella lettura di Guri Schwarz allo scorso convegno pistoiese Dentro al cono d’ombra. Storia e memoria della Shoah, 30 gennaio 2017). Del fallimento più in generale del nostro sistema scolastico, di come dalla scuola secondaria escano diplomati che a detta di alcuni loro stessi insegnanti non sarebbero neppure essere ammessi all’esame di maturità (quale maturità, sento dire in occasione di un’altra conferenza di riflessione sulla Shoah, Scenari del XX secolo, organizzata dall’Istituto Storico di Pistoia il 22 gennaio scorso alla presenza di Matteo Stefanori chiamato a contestualizzare le peculiarità della persecuzione in Italia: quale maturità quando alcuni non sono in grado di affrontare la lettura e comprensione di un testo in italiano?).
Inutile azzardare di ventilare una pedagogia che possa tener conto della diversità degli studenti nell’indole, capacità di apprendimento ed interesse, a guisa dei quattro figli dell’Haggadà, quando spesso in alcune classi la maggior parte del tempo e delle energie sono spesi nel gestire la disciplina (evitare che alcuni bambini di scuola primaria sputino ai compagni o distruggano il loro materiale scolastico, ho sentito di recente).
Eppure ci sono. ci sono sempre stati. anche bambini e ragazzi che hanno creduto nell’imparare e nell’importanza dell’educazione come forma di humanitas, in circostanze anche estreme, ed adulti che hanno trovato come insegnare loro sempre e comunque.
Testimonia un’educatrice deportata a Bergen-Belsen, l’insegnante socialista religiosa olandese Clara Asscher-Pinkhof, a proposito dell’apprendimento dialogico con i ragazzini cui insegnava: “Discussioni sulle definizioni e sulle categorie grammaticali ci hanno occupato così tanto che non avevamo altro cui pensare dimenticando la fame, il freddo e la paura. Ossia, io ho fornito loro un’idea, affinché potessero trarre degli esempi. Che cos’é ‘coraggio morale’? Dalla forza morale siamo giunti a Émile Zola, che ha denunciato la verità sulla giustizia corrotta all’epoca del processo Dreyfus. Dal processo Dreyfus siamo arrivati a Theodor Herzl, da Theodor Herzl alla Palestina” (in Thomas Rahe, Aus ‘rassischen’Gründen verfolgte Kinder im Konzentrationslager Bergen-Belsen. Eine erste Skizze, in Edgar Bamberger, Annegret Ehmann, eds., Kinder und Jugendliche als Opfer des Holocaust, Dokumentationszentrum Deutscher Sinti und Roma, Gedenkstätte Haus der Wannseekonferenz, Heidelberg 1997, pp. 129-143, qui p. 138).
Persino a Birkenau, ricorda l’adolescente francese Nadine Heftler, nella baracca dei bambini “ciascuna ragazzina, dai dieci anni in su, ha adottato un piccolino e si occupa di lui. Così, la mattina, si affretta a vestirsi per poter aiutare il suo piccolo compagno” (Si tu t’en sors…Auschwitz. 1944-1945, Paris 1992, p. 109).
Non c’erano solo bambini che si prendevano cura di altri bambini, ma anche bambini consapevoli del valore della cultura come forma di dignità per se stessi, come ricorda Sultana Razon che in lager prendeva lezioni da un poliglotta greco pagandole con tre scodelle di minestra la settimana, “ma questo ci ha sostenuto parecchio” perché si teneva impegnata ed è stata poi alla base di quella forza di volontà di recupero nel dopoguerra degli anni di scuola perduti che le ha poi permesso di diventare affermata pediatra (intervista orale). Imparo, dunque sono.
Sara Valentina Di Palma