JCiak – Quattro film in corsa
Alla fine l’israeliano Foxtrot non ce l’ha fatta. L’ultimo lavoro di Shmuel Maoz, il dramma di due genitori alle prese con la morte del figlio soldato, è stato escluso dagli Oscar. La corsa alla statuetta vede però in lizza con quattro nomination Call Me By Your Name di Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore ebreo egiziano André Aciman, da domani in sala. Il film, che negli Stati Uniti ha messo d’accordo critica e pubblico vede fra i protagonisti Timothée Chalamet, candidato come miglior attore e Oliver Arnie Hammer sullo sfondo di uno scenario italiano nell’estate 1983.
In contemporanea arrivano al cinema, in occasione del Giorno delle Memoria, alcune proposte di segno assai diverso, tutte di grande interesse sotto il profilo ebraico: Gli invisibili di Claus Räfle che racconta di un gruppo di ebrei che nel 1943 riesce a celarsi nella Berlino nazista; La testimonianza di Amichai Greenberg, storia di un ricercatore israeliano che, indagando su un massacro di ebrei avvenuto nel villaggio austriaco di Lendsdorf, scopre il drammatico segreto della madre e Paradise di Andrei Konchalovsky che intreccia i destini di tre personaggi sullo sfondo della seconda guerra mondiale.
Gli invisibili torna nella Berlino del 1953 per illuminare un capitolo poco conosciuto del periodo nazista. Quando il regime dichiara la capitale del Reich libera dagli ebrei, alcuni tentano di rendersi invisibili agli occhi delle autorità ricorrendo all’aiuto di amici e conoscenti. La scommessa è così rischiosa che, secondo le stime, dei 7 mila che tentano la sorte solo 1700 riescono a salvarsi.
Documentarista al suo debutto nella fiction, Claus Räfle mette in scena la storia vera di quattro giovanissimi – Hanni, Cioma, Ruth e Eugen – che sopravvivono passando in clandestinità. Gli invisibili, evento speciale di Lucky Red, intreccia la narrazione cinematografica a interviste ai protagonisti dell’epoca a filmati d’archivio.
Diretto Amichai Greenberg, La testimonianza usa una chiave del tutto diversa per tornare al passato. Presentato al Festival del cinema di Venezia, il film ha come protagonista Yoel, ebreo ortodosso, studioso della Shoah che lavora a Gerusalemme.
Mentre indaga su un brutale massacro di ebrei avvenuto verso la fine della Seconda guerra mondiale a Lendsdorf ritrova una testimonianza inattesa in cui la madre rivela un segreto del proprio passato. Yoel, che sta svolgendo una doppia ricerca, personale e scientifica, finisce intrappolato tra muri di silenzio.
“Sono stato cresciuto con la consapevolezza che essere un ebreo osservante, nonché il figlio e nipote di sopravvissuti all’Olocausto, rappresentasse le radici della mia esistenza, la vera essenza della mia identità: qualcosa di più grande di me e della vita stessa”, ha spiegato il regista. “Sono cresciuto tra storie eroiche, incredibili, in cui la vita e la morte erano separate da una linea sottile. Ma la mia vita di tutti i giorni contrastava con questo dramma. Figlio di sopravvissuti dell’Olocausto, sono cresciuto in una famiglia priva di emozioni, dove sentivo che mancava sempre qualcosa. Qualcosa di sfuggente, che rimaneva innominato. Questo enorme abisso mi ha lasciato senza parole. Il copione del film rappresenta il mio sforzo per penetrare attraverso i muri trasparenti del silenzio”.
Paradise (2016) del regista russo Andrei Konchalovsky schiva invece il presente per condurci dritti nel cuore della tragedia. La storia si gioca nell’incontro di tre vite. Olga è un’aristocratica russa immigrata, arrestata dalla polizia nazista per aver nascosto dei bambini ebrei. Jules è un collaborazionista francese che se ne invaghisce e le propone di alleviare la sua pena in cambio di favori sessuali. Helmut è un alto ufficiale delle SS che in passato è stato innamorato di lei. Quando la reincontra nel campo di concentramento dov’è stata trasferita e di nuovo se ne innamora.
Le loro vite culminano in un amore distruttivo narrato in un secco bianco e nero che alterna al racconto stranianti interviste. Paradise è un film scritto di getto, in solil due mesi, ritrae l’orrore e il ritmo quotidiani della macchina di sterminio nazista. Le immagini, tremanti e talvolta rigate, che ci rimandano a quella realtà non cedono alla retorica né al romanticismo, finendo così per renderle di stretta attualità.
“La storia – spiega Konchalovsky – è piena di grandi tragedie, la maggior parte delle quali ci appaiono come antichi misfatti che non potrebbero più accadere al giorno d’oggi”.
“Uno dei momenti più terribili della storia della nostra generazione – continua – è stata l’ascesa del partito nazista e lo sterminio di milioni di ebrei e di altre persone che non rientravano nell’ideale nazista di un ‘perfetto paradiso’ tedesco. Tali atrocità dimostrarono fino a dove possa spingersi la malvagità degli esseri umani. Sebbene questi eventi siano accaduti nel passato, oggi sta tornando alla ribalta lo stesso modo di pensare radicale e intriso d’odio che minaccia la vita e la sicurezza di molti individui nel mondo”.
Daniela Gross