Miti e migranti
“Andate in America. C’è un nuovo mondo, laggiù”
“Con quel passaporto [quello giallo che i zaristi davano alle prostitute] non lasciano salire sulla nave”
“Non serve il passaporto. Se riuscite a varcare il confine clandestinamente, potete imbarcarvi anche senza. Basta avere il biglietto per la traversata”.
Se qualcuno ha già letto l’ultimo romanzo postumo di Isaac Bashevis Singer (Adelphi, 2017), scoprirà che Keyla la Rossa e Bunim non arriveranno in America così legalmente, ma soprattutto grazie all’aiuto dei contrabbandieri. Del resto, i concetti di legalità e illegalità sono decisamente recenti e al tempo non erano granché presi in considerazione, specie quando a rischio c’era la propria esistenza. La precarietà dell’essere umano è rimasta immutata, il mondo è però cambiato, senza accorgercene è diventato sempre più definito, piccolo e stretto, i nazionalismi e i conflitti etnici si sono ampliati e sono diventati sempre meno estinguibili, nonostante le numerose lezioni storiche che dovrebbero frenarli. Sarà dunque umanamente comprensibile, a un livello più inconscio che razionale, che le nuove migrazioni spaventino. Ciò che è diverso è in parte sconosciuto, e quindi mette terrore come il buio per i bambini dove da un momento all’altro potrebbe spuntare qualche mostro o una strega. Sostenere inoltre che il mondo islamico sia totalmente positivo, e tutti gli stranieri di religione islamica abbiano ottime intenzioni e sentimenti fraterni nei confronti degli ebrei, delle donne o di altri “diversi” è sicuramente una falsità. Così come asserire l’esatto contrario. Puntualizzando che non ho mai creduto che esistano religioni o culture ontologicamente meglio o più progredite di altre, ma piuttosto che sia l’uomo a utilizzare la propria religione/cultura come un’arma letale e politica a seconda del suo presente storico.
Resta che il mito dello straniero/migrante indistintamente buono e rispettoso delle leggi va di pari passo a quello dello straniero/migrante indistintamente cattivo che ruba e stupra. Ovvero è lontano dalla realtà, oltre che sciocco e un po’ razzista. Chiedersi da qui se i nuovi arrivati rispetteranno le leggi del luogo o il leitmotiv se l’Islam corrente sia compatibile con la democrazia.
È ugualmente una domanda insolubile e senza sbocchi. Se poniamo la risposta fosse no, come dovremmo allora procedere?
Nell’ultimo libro di Mohsin Hamid, Exit West (Einaudi, 2017), l’autore racconta il dramma di due ragazzi costretti a fuggire dal proprio paese del Medio Oriente travolto da guerra e fanatismo (non è difficile intravedervi la Siria). Tra i rifugiati che popolano questo romanzo, si incontrano anche integralisti e persone certo poco raccomandabili. I punti di vista del lettore, potrebbero invertirsi, vedersi nei panni di chi accoglie e di chi viene accolto, la tragedia finisce per colpire inevitabilmente entrambe la parti. Ma chi nella situazione dei due protagonisti non sarebbe scappato dal proprio paese in rovina?
Quando nel dopoguerra e sino agli anni ’80 Israele fu interessata dai grandi esodi di massa degli ebrei del Maghreb e di altri paesi musulmani, non tutti furono così felici e ospitali. Come sappiamo, anche in seguito sentimenti di discriminazione e di intolleranza certo non mancarono. Persino Golda Meir nel 1964 si espresse dicendo: “Shall we be able to elevate these immigrants to a suitable level of civilization?”.
Qualcuno forse, non necessariamente con idee xenofobe, temeva che la società israeliana da allora avrebbe subito una svolta radicale, in peggio o in meglio, perché un equilibrio sarebbe stato stravolto, e che insieme agli Eli Amir o a Ofra Haza sarebbe sorto un Yigal Amir o arrivato anche il clan Abergel. Ma doveva andare altrimenti?
Aggiungo in conclusione una piccola postilla, lontana dagli stereotipi comuni, e che lascia un po’ di speranza per il nostro domani sulla convivenza tra popoli: su Facebook negli ultimi anni si sono formati vari gruppi e pagine in ricordo degli ebrei e della cultura ebraica nei paesi musulmani. La lingua usata è prevalentemente quella araba e i membri sono migliaia, la maggior parte è composta da musulmani, non è neppure raro che qualcuno di essi vanti qualche origine ebraica, vera o presunta.
Francesco Moises Bassano