Israele, uno Shabbaton per l’incontro
Un nuovo anno è iniziato e non poteva mancare lo Shabbaton della Giovane Kehilà, appuntamento, a cui ormai, avendo partecipato allo scorso, mi sono già affezionata. È stato bellissimo rivedere le facce di amici storici che si trovano qui temporaneamente, come me, o ormai stabili qui da qualche anno, e i nuovi amici conosciuti durante lo scorso incontro a Gerusalemme. Credo personalmente che sia molto importante per i ragazzi circa della mia età, che hanno lasciato le famiglie per intraprendere la loro strada qui in Israele, avere una piccola famiglia italiana a cui affidarsi per un weekend e sentirsi a casa anche quando si è lontani. Persone diversissime, che però in questo contesto si possono riunire sotto la loro bandiera d’origine e condividere le tradizioni ebraico-italiane, che ci accomunano e allo stesso tempo ci legano alle nostre famiglie a casa. La solitudine è un tema centrale in questi anni, fino al punto che in Inghilterra, pochi giorni fa, è stato deciso di eleggere un Ministro della solitudine, che si occupi delle persone sole nel paese. In Israele vedo moltissimo questo fenomeno, i ragazzi non sono sofferenti ovviamente, ci divertiamo, ci creiamo nuovi amici da tutto il mondo con culture diverse e affascinanti, ma è un grosso fattore pensare che il Paese, più di molti altri, sia stato costruito e tuttora sia abitato da moltissimi ragazzi senza famiglie, che vengono qui per costruire una nuova vita ed avere più opportunità. Come la mattina di Shabbat al tempio, quando il Cohen ha iniziato a recitare la benedizione per i figli e guardandomi intorno ho visto negli occhi lucidi, ma sorridenti, delle altre ragazze quello che in quel momento stavo provando anche io, senza la mano calda dei miei genitori sulla testa. Allo Shabbaton ho visto tutti questi miei coetanei, qui nella Terra Promessa entusiasti, felici, ma anche soli, apertissimi gli uni con gli altri, dai ragazzi della terza e quarta liceo del Mosenson, giovanissimi, a me e gli altri ragazzi venuti qui per un programma di durata definita, ai ragazzi nella Tzavà e quelli che studiano alla Yeshiva, all’Ulpan, all’Università e i ragazzi israeliani con famiglie di origine italiana.
Alle dieci appuntamento al Museo della Terra di Israele dove ci sono stati offerti dei biglietti di ingresso per avere l’opportunità di vedere la mostra In Risposta a un Capitano italiano: Alya Bet 1945-48, dedicata al Capitano Ansaldo e ad altri italiani come Ada ed Enzo Sereni che hanno dedicato la loro vita alla costruzione clandestina di un ponte tra l’Italia e la Palestina Britannica, per portare in salvo profughi ebrei sopravvissuti alla Shoah. È stato molto interessante osservare quanto gli italiani abbiano contribuito ad istruire i futuri chalutzim in ville di provincia e organizzare le grandi imbarcazioni migratorie attraverso il Mediterraneo (non verso le coste italiane come avviene oggi, ma al contrario). È stato emozionante, da fedele shomeret che sono, vedere come i movimenti giovanili ebraici fossero attivi in Italia e fossero i primi protagonisti delle Alyot, i primi a sostenere quei ragazzi ormai orfani, che non vedevano l’ora di raggiungere la tanto promessa e sognata Terra dall’altra parte del mare. E ancora di più lo è stato vedere una foto esposta alla mostra che ritrae i ragazzi del Ken dell’Hashomer Hatzair, uno dei due ultimi Movimenti giovanili ebraici presenti nel nostro Paese (insieme al Benei Akivà), sfilare a Milano alla marcia del 25 Aprile 2015 con le bandiere della Brigata Ebraica, per non dimenticare quelli che invece tornarono indietro, abbandonando il loro sogno in costruzione, per combattere per la libertà.
Dopo aver velocemente visitato una seconda parte del grandissimo Museo, che esponeva oggettistica ebraica proveniente da disparate parti del mondo e le relative festività e tradizioni, prendiamo il pullman verso l’albergo in Ben Yehuda, dove in poche ore ci hanno raggiunto tutti gli altri partecipanti.
Alle 16.30 come ormai è tradizione consolidata e scritta nel programma dello Shabbaton, selfie pre-shabbat e ci dirigiamo verso la sinagoga italo-tripolina, a pochi isolati dall’ostello, che ci ha accolto per tutta la durata dello Shabbaton, per pranzi, cene e tefillot. Tra vino, giochi, discussioni e chiacchiere la serata di Shabbat è passata in allegria e l’atmosfera si è scaldata di un grandissimo affetto reciproco e gratitudine per essere tutti lì, in quarantacinque, gli uni per gli altri, a condividere le proprie esperienze e parlare delle proprie rispettive comunità. E sentire come alcuni dei partecipanti non abbiano mai avuto legami con le comunità ebraiche italiane prima di venire qui e conoscere la Giovane Kehilà, che ha offerto loro finalmente l’opportunità di sentirsi parte coinvolta.
Dopo il grande pranzo abbiamo sentito un’interessante presentazione da parte di Jonathan Piazza, originario di Roma, sulla sua nuova start-up Univesitouch, progettata e realizzata con la moglie israeliana, che mira a creare un supporto agli studenti per semplificare la ricerca dell’Università giusta e accorciare i tempi delle iscrizioni e dei soliti problemi burocratici, grazie ad uno scambio di recensioni, commenti e consigli da parte degli studenti stessi. In futuro hanno anche in programma di riuscire a trasformare l’app in un vero e proprio social network in cui sarà possibile offrire tutoring e assistenza in cambio poi di punteggi che potranno essere convertiti in beni utili agli studenti universitari. Per creare anche online delle comunità. Il tutto però sarà possibile solo con l’aiuto degli utenti che condivideranno sulla piattaforma le loro esperienze.
A seguito Michael e gli organizzatori ci hanno posto uno spunto di riflessione riguardo “il sionismo di una volta e il sionismo di oggi – qual è il ruolo degli italkim”. Ascoltare le varie e discordanti opinioni dei ragazzi, sentire quante prospettive oggi ci siano per un sionista oltre a compiere l’Alya, quante diverse opinioni ci siano sul sionismo stesso, vivendo qui, come si possa migliorare questo Paese contribuendo con del volontariato sociale che da anni la Giovane kehilà infatti propone ai membri. Ci sono stati anche mostrati dei giornalini del Benei Akiva italiano tra gli anni ’60 e ‘67, nei quali articoli è evidente il coinvolgimento in quel periodo dei giovani nella politica e nel sionismo, su cui oggi purtroppo è prevalso il neutralismo e il disinteresse.
È stato anche emozionante cogliere l’occasione, proprio durante questo Shabbat, in cui abbiamo letto del popolo d’Israele che finalmente esce dall’Egitto con “i nostri giovani e i nostri anziani” e riceve le sue prime mitzvoth, per leggere tutti insieme la lettera di Rav Laras, mancato qualche mese fa, z”l, riguardo l’ebraismo italiano, la centralità dei giovani, e in particolare l’incentivo alla relazione tra gli ebrei italiani e gli italkim in Eretz, spesso troppo debole o del tutto assente.
Dopo Arvit e l’Avdalah ci siamo riuniti nella hall dell’ostello per decidere come concludere questo weekend all’insegna dell’italianicità, quindi cosa ci potrebbe essere di meglio di una vera Pizza da Nonno Angelo, dove tutti parlano romano? È così belli sazi di cibo, affetto, lingua italiana, amici e racconti ci separiamo alla fermata dell’autobus, con in programma già il prossimo Shabbaton.
Ci rivediamo tra meno di un mese!
Beatrice Hirsch
(29 gennaio 2018)