Sulla Memoria
L’impegno per la Memoria ha seguito, talvolta, un itinerario non certamente lineare. Apprendiamo che “Raul Hilberg, autore di una ricerca pionieristica e fondamentale sullo sterminio degli ebrei in Europa, ha spiegato, in uno dei suoi ultimi scritti, che, quando intraprese il suo lavoro nel 1948, erano molto rari le università o i ricercatori che si dedicassero al tema. Ebbe poi grandi difficoltà nel pubblicare la sua opera, dato che Hannah Arendt non gli facilitò certo il compito: le edizioni della Princeton University Press, che le avevano chiesto di valutare il manoscritto sottoposto da Hilberg, rifiutarono di pubblicare l’opera all’inizio del 1959 “ (Michel Dreyfus, L’antisemitismo a sinistra in Francia. Storia di un paradosso (1830-2016), ed. italiana 2018, editore Vincenzo Pinto, p. 205; vedi anche Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo a sinistra, Torino, Einaudi, 2007.). Da noi, Primo Levi subì una vicenda analoga con “Se questo è un uomo”.
Certamente, potranno esserci state – e ci sono state questioni stilistiche e questioni meta – accademiche che, il va sans dire, non dimostravano una grande empatia. Tuttavia, ciò non toglie che questi due casi dimostrino come la memoria della Shoah, filtrata, diciamo, attraverso le ordinarie esigenze e le quotidiane urgenze dei vivi, abbia conosciuto e conosca ancora dei percorsi sinuosi che uno psicologo e un filologo potrebbero mettere agevolmente in evidenza. Facciamo riferimento alla filologia, in quanto il linguaggio cui sovente si ricorre (anche ora) finirà per far trasparire come noi vivi (ancorché con date più o meno ravvicinate di scadenza) si sia condizionati da prosaiche considerazioni, che non ci consentono di accostarci senza deviazioni ad un qualche stato di santità. Vale per noi, vale per tutti, quanto ci dice (è uno scritto, ma ci parla ogni giorno) il Kohelet, a proposito della vanità delle vanità (poiché) tutto è vanità. Siamo forzatamente e forzosamente autoreferenziali ma, in quanto necessariamente portati a chiarire di essere vivi, lasciamo aperto il dubbio di non essere vivi del tutto. E, in tal senso, siamo pure (più o meno tutti) al contempo, irrimediabilmente vani.
Emanuele Calò, giurista