Makhshevet Israel – La tradizione di aprire le porte

Cosimo Nicolini CoenNel suo commento del 29 Gennaio Anna Foa notava come quest’anno la ricorrenza del giorno della memoria avesse avuto ben poco di rituale in quanto accompagnata, purtroppo, da episodi di razzismo quali, per restare a quelli ricordati da Foa, il rifiuto da parte di una cittadina di farsi curare da un medico di colore e dall’appello da parte di un noto esponente della destra di difendere la cosiddetta razza bianca. Arrivare, con questi presupposti, al giorno della memoria, con l’importante notizia della nomina di Liliana Segre a senatrice a vita, dà una sensazione di spaesamento. Negli stessi giorni prima e dopo il 27, in Stati Uniti e in Israele gruppi di rabbini (non so di quali afferenze…) protestavano contro le politiche dei rispettivi governi in termini di migranti e rifugiati. Proprio in Israele, come noto, alcuni piloti dell’El Al hanno espresso il loro rifiuto a collaborare al rimpatrio forzato dei rifugiati (o ‘aspiranti’ tali) in questione. Che si tratti di rabbini o di piloti, ovvero di settori della società civile, in ambo i casi si è fatto appello a ‘ memoria e valori ebraici’ per esprimere la propria contrarietà alla politica del governo. Qui, dunque, l’attualità tocca la memoria storica del popolo ebraico, da una parte, e la Tradizione dall’altra. Naturalmente non si tratta di equiparare le specie di persecuzioni in atto; più prosaicamente, da parte di chi ha sentito la memoria, o l’eco, di quelli che si sono salvati grazie alle porte aperte di un consolato o di un confine risulta difficile non provare empatia. Questo per quanto riguarda quel carico di memoria familiare e storica che ognuno può portare con sé. Vi è poi, però, il richiamo alla Tradizione dove il ricordo di qualcosa che si presume esser stato un fatto – l’esser stati stranieri in terra d’Egitto – si pone come premessa a una prescrizione – l’accoglienza all’altro straniero (non senza contemporanee prescrizioni incombenti sullo straniero…). La consapevolezza delle proprie storie familiari o della Tradizione porta dunque a un certo modo di guardare e agire di fronte al richiedente asilo, e così via. Tuttavia, in relazione a tematiche differenti rispetto a quella dei rifugiati, la stessa memoria familiare e storica delle persecuzioni, ossia della precarietà della condizione di minoranza, può portare alla consapevolezza che la sicurezza di Israel passa per quella di Israele e, quindi, per gli equilibri demografici di quest’ultima. La stessa conoscenza della Tradizione può essere usata, sempre in riferimento a tematiche altre rispetto a quella dei rifugiati, in direzioni politiche antitetiche. Sicché tra conoscenza della propria storia e della propria tradizione e prese di posizione in prima persona, o come collettività, non sembra esserci un necessario automatismo, quanto una scelta – ancorché argomentabile in base alla memoria storica e alla Tradizione. Quel che è certo, quali che siano le nostre scelte e sensibilità, è l’intrecciarsi, in ambito ebraico, di memoria, storia e Tradizione, segnalando: i) come il concetto di ‘laicità’ non possa, in Israele stato e nel popolo di Israele, che declinarsi differentemente rispetto al paradigma illuminista; ii) – e specularmente – come la Tradizione non sia fonte di riflessione e guida nella condotta solo per quel settore di popolazione considerato osservante (rivendicazione da parte ‘laica’ della Tradizione rappresentato oggi, in Israele, da figure come Ruth Calderon). Quali che siano le nostre declinazioni della coscienza storico-familiare e della conoscenza della Tradizione, rimane che questa consapevolezza e conoscenza ci chiede di prendere scelte concrete, di agire, ricordandoci che, forse, solo se “faremo” allora “intenderemo” (Esodo, 24, 7).

Cosimo Nicolini Coen