La pace di Erdogan
Mentre una Roma blindata si prepara ad accogliere con grandi omaggi il sultano Recep Erdogan, l’aviazione turca continua a bombardare il cantone di Afrin, nel Rojava. “Ripuliremo tutto fino all’Iraq”, ha affermato il primo ministro all’inizio dell’operazione “ramoscello d’ulivo”. Sì, perché lo scopo sarebbe proprio quello di portare la “pace”, e di sconfiggere il “terrorismo”. Strano che visto siamo in tema di memoria – sebbene una memoria ben diversa – ci siamo già dimenticati quando tutti osannavano i curdi perché combattevano (e combattono tutt’ora) proprio contro i terroristi di Daesh. Erdogan del resto, anche a seguito delle ultime prese di posizione su Gerusalemme è desideroso di presentarsi sempre più come il restauratore del retaggio Ottomano e come un punto di riferimento per il mondo musulmano sunnita.
Alcuni quotidiani turchi sostengono che “dietro l’operazione militare ci sarebbe anche una
strategia di ricollocazione in chiave anti-curda dei 3,5 milioni di migranti che la Turchia ospita sul suo territorio ormai dall’inizio della crisi.” Dividi et impera, come con gli italiani in Alto Adige durante il fascismo o con l’etnia Han nelle regioni periferiche della Cina, le popolazioni sono utilizzate come pedine per fini coloniali e di conquista, quando in realtà gran parte della regione del Rojava è già abitata in gran parte da non curdi, come arabi, turkmeni, assiri cristiani e circassi. Senza, da quanto risulta, nessuna richiesta di importare rami d’ulivo dalla Turchia.
Resta da chiedersi adesso se negli incontri previsti con il sultano qualcuno affronterà il tema della libertà di espressione, dei giornalisti nelle carceri o dei diritti delle minoranze, o qualcosa a proposito dei bombardamenti di Afrin. Oppure se con tanti hanefud verranno stesi i tappeti rossi come già avvenne con
Gheddafi, Putin o Rohani. Intanto sono scesi nelle piazze europee centinaia di persone per esprimere solidarietà ad Afrin, bambini, donne, uomini, anziani… naturalmente quasi esclusivamente curdi. Il silenzio degli altri fa senza dubbio più rumore.
Francesco Moises Bassano