Parole

vaE così siamo arrivati, lo scorso Shabbat, all’apice della costruzione di Am Israel che diventa popolo lasciando Mitzraim e ricevendo le Asseret haDevarim, le Dieci Parole o Asseret haDiberot secondo il Talmud (e di devarim, parole, si parla nella Torà in più riprese, riferendosi alle parole dell’alleanza scritte da Moshe sulle due tavole in Shemot 34,28 come poi ricordato in Devarim 4,13 e 10,4). Parole appunto, non comandamenti, diverse dai codici giuridici di qualsiasi altro popolo contemporaneo non tanto per le norme comportamentali – anche il codice di Hammurabi conteneva leggi sul rispetto degli schiavi o sul giorno di riposo settimanale, ma solo qui c’è l’importanza, l’obbligo, della trasmissione di generazione in generazione (Marc-Alain Ouaknin, Le dieci parole. Il Decalogo riletti e commentato dai Maestri ebrei antichi e moderni, Paoline 2011, pp. 39-40). Tanto è vero che questo patto, questa alleanza tra Dio e Am Israel, è sancita non solo con la generazione presente al Sinai, ma anche con tutti i figli d’Israele che verranno, come ricorda un Midrash (Pirqei de Rabbi Eliezer 41).
A mio avviso soprattutto la prima parola è molto interessante perché esprime una constatazione – diversamente dalle altre nove che danno indicazioni positive o negative di comportamento nei confronti del Signore e degli uomini, instaurando una specularità tra le prime cinque parole sui rapporti con il Signore e le altre cinque sui rapporti tra gli uomini, ma forse anche in parte tra parole destinate al solo popolo ebraico e parole universali per tutta l’umanità, donate non a caso in un luogo neutro come il deserto (midbar-parola) che non appartiene a nessuna nazione ma a tutti coloro disposti ad ascoltare ed enunciate in una sidrà dedicata a Yitro, un non ebreo che decide di accettare il patto. “Anokì è Adonai il tuo Elohim che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavi” (Shemot 20,2).
Si tratta di una premessa – anche se c’è chi, come Haim Baharier, le interpreta tutte e dieci come premesse preparatorie di un percorso spirituale verso il dono ricevuto al Sinai e l’accettazione della Torà e delle mitzvot, o meglio la prima come la parola fondamentale e le altre nove come premesse (Le dieci parole, San Paolo 2011, pp.20-22).
L’informazione preliminare fornita al Sinai è dunque questa: delle tante divinità cui si prostravano gli uomini allora, Anokì (Io-Divino) è il Dio d’Israel ed è questo, Adonai (mio Signore) tuo Elohim, non altri. Di Lui non viene affermato qui che Egli lo è per il suo potere creatore (concetto però richiamato dal termine Elohim, un vocabolo plurale collettivo usato per Israele in senso singolare perché racchiude tutte le caratteristiche divine), ma per aver dato la libertà e fatto dei figli d’Israel un popolo disposto ad intraprendere un percorso rischioso e difficile per essere se stesso.

Sara Valentina Di Palma

(8 febbraio 2018)