Periscopio – La ferocia di Assad
Nel sostanziale silenzio della comunità internazionale (e soprattutto dei mezzi di informazione e dei politici nostrani) avanza, a ritmo accelerato, il processo di penetrazione del regime iraniano in Siria, favorito dai noti, complessi e inquietanti fattori che caratterizzano gli instabili equilibri di quella regione martoriata (la ferocia e la debolezza della dittatura di Assad, il cinico e ambiguo appoggio a essa prestato dalla Russia di Putin, la violenta campagna militare turca contro i curdi, la mancanza di un’alternativa politica seria e credibile). I recenti eventi bellici (l’intercettamento del drone iraniano penetrato nel cielo di Israele, l’abbattimento del caccia israeliano, le seguenti distruzioni delle postazioni siriane e iraniane in Siria da parte di Tsahal, le solite, lugubri minacce da parte di Damasco e Teheran ecc.) non fanno altro che palesare una realtà che già da tempo era evidente, di grande chiarezza, e di cui il mondo fa finta di non rendersi conto. Una realtà che consta di due semplici, elementari elementi. Primo: l’Iran sta cercando di approfittare del vuoto di potere e dell’appoggio di Mosca per radicarsi in Siria, di fronte all’odiatissima (o, forse, amatissima: senza di essa, gli ayatollah non avrebbero niente di cui parlare) “entità sionista”; secondo: Israele non lo permetterà mai, costi quel che costi. Ed è non solo giusto e legittimo, ma assolutamente doveroso che sia così, se è vero che un governo ha non il diritto, ma il dovere di proteggere i suoi cittadini.
Che succederebbe se l’Italia si rendesse conto che, in uno dei Paesi suoi prossimi vicini (la Francia, la Svizzera, l’Austria, la Slovenia, la Croazia, la Serbia, l’Albania, la Grecia…) si andassero ammassando armi puntate contro il suo territorio, installate da un nemico estremamente potente e pericoloso, che da decenni va dicendo pubblicamente, con tetra e martellante monotonia, che vuole distruggerla? E se queste armi cominciassero a essere effettivamente usate, a lanciare i loro colpi dentro i confini del nostro Paese? Il governo farebbe qualcosa per difendere i cittadini, o resterebbe del tutto inerte e indifferente? I giornali parlerebbero della cosa, o la passerebbero completamente sotto silenzio? La gente si allarmerebbe, o farebbe finta di non accorgersene? I partiti politici inserirebbero tale notizia nella loro propaganda, o parlerebbero solo di altro? Se basta qualche presunto extracomunitario di troppo a seminare il panico in tante famiglie, come reagirebbero la gente, i mezzi d’informazione, i politici di fronte a una minaccia estremamente concreta, vera, reale, immediata, che riguarderebbe davvero tutti?
Abbiamo fiducia, come sempre, nella forza militare di Israele, il solo Paese al mondo per il quale perdere una guerra è un lusso che non ci si può permettere, perché si sa che non ce ne sarebbe un’altra. Ma non sottovalutiamo la pericolosità dei suoi nemici, che pare aumentare enormemente in virtù dell’appoggio, più o meno diretto o coperto, fornito dalla superpotenza russa. Sembra riproporsi, in forme mutate, uno scenario a cui eravamo abituati, negli anni tra il ’67 e l’89, con il Medio Oriente oggetto degli antitetici interessi di Russia e Stati Uniti, ma con almeno tre varianti, che rendono la situazione di oggi molto più insidiosa: la nuova presenza, sulla scena, di un attore estremamente aggressivo e temibile, quale l’Iran; il montante isolazionismo di Washington, all’insegna dell'”America first”; l’ormai definitiva abdicazione morale e politica dell’Europa, che sembra ogni giorno più lontana dalla stagione costituente del dopoguerra e dallo spirito della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo del ’48, e sempre più simile, nel suo volto, a quello degli anni ’30 e ’40, che molti suoi politici ed elettori apertamente rimpiangono.
E non sottovalutiamo neanche il segnale pericoloso dato dall’abbattimento dell’aereo israeliano, che, certamente, varrà ad eccitare i suoi nemici. Non abbiamo mai creduto nel mito dell’invincibilità di Israele, che non è altro che uno dei tanti stereotipi antisemiti. E sappiamo bene che lo Stato ebraico non solo non può essere debole, ma non può neanche apparire tale. È difficile, in ogni caso, dire quanto qualcuno sia forte, o debole, se non in rapporto al numero e alla potenza dei suoi avversari. Quanti Golia, tutti insieme, avrebbe potuto abbattere Davide? Proviamo, in ogni caso, un sentimento di grande tristezza e solitudine di fronte al silenzio di cui abbiamo parlato, che ci fa sentire stranieri in patria. Un silenzio che pare diventare assordante nelle grandi adunate elettorali delle piazze italiane, apparentemente così contrapposte riguardo ai valori del fascismo e dell’antifascismo, e così tristemente uguali nella mancanza di una sola parola di solidarietà verso un popolo nuovamente minacciato nella sua stessa esistenza. Una parola che, invece, tanto servirebbe a dare un senso concreto a quella pretesa contrapposizione di valori, se esiste.
Francesco Lucrezi, storico
(14 febbraio 2018)