Makhshevet Israel – Se l’antisemitismo sopravvive alla sapienza
L’ignoranza, viene detto, è una tra le cause dell’antisemitismo e, viceversa, una maggiore conoscenza critica tanto di aspetti storici quanto di aspetti culturali, porta al diminuire dell’antisemitismo, nelle sue diverse vesti. Sarà più difficile ritenere il popolo ebraico quale “deicida” se si riconoscerà, banalmente, l’origine tutta ebraica di quella particolare setta che fu dei nazareni; sarà impossibile credere all’esistenza di qualcosa come una “razza ebraica” – o persino una “razza semitica” – non appena si abbia non solo la consapevolezza dell’inesistenza di qualcosa come le diverse razze umane (su questo mi limito a ripetere quanto la divulgazione scientifica spiega), ma anche che il popolo ebraico non si definisce, dal punto di vista ideale – cioè dei termini con cui la Tradizione pensa Israel – in base alla nozione di ‘geza’ [razza] e la stessa norma della matrilinearità –per cui è ebreo chi è di madre ebrea e così a ritroso – non è protesa a preservare una presunta purezza razziale (come del resto è evidente dall’osservare, specularmente alla norma, che la non ebraicità del padre non ha alcun effetto sul nascituro), bensì a garantire una continuità nell’appartenenza a un popolo, a una Tradizione– tutti elementi di cui si entra a pieno titolo in possesso mediante un ghiur, cosa evidentemente impossibile se di “razza” si parlasse. La conoscenza, poi, di aspetti storico-sociali, permetterà, invece, di superare il pregiudizio negativo dell’ebreo-usuraio, ma anche quelli cosiddetti positivi dell’ebreo, quale ricco (ossia: avido) e intelligente (ossia: furbo) en soi. All’antisionista, poi, potrà essere utile sapere che Sion, ossia l’idea di una presenza e sovranità ebraica in terra di Israele, fa parte integrante della tradizione ebraica e che le istituzioni dello Stato di Israele hanno, di per loro, tutti gli strumenti per evitare che la condizione di minoranza della popolazione araba divenga condizione di discriminazione (rischio che, potenzialmente, può ricadere su ogni minoranza). Ebbene nonostante queste argomentazioni l’antisemitismo permane. Si deve aggiungere: perché permane l’ignoranza? Io credo di no, credo che l’idea, che alcuni asserivano quando si parlò dei Quaderni Neri di Heidegger, secondo cui l’antisemitismo di questi – ma idealmente anche: di Kant, e di Voltaire – dipenderebbe da una passiva ricezione dei pregiudizi antisemiti delle loro rispettive epoche sia un modo di cullarsi nell’idea secondo cui, appunto, l’antisemitismo si risolva nell’ignoranza del volgo. L’antisemitismo vive anche nella cultura alta, e non perché vi si trovi causalmente bensì perché – e questo è ormai un aspetto pacifico – ha diversi fili che lo legano all’antigiudaismo della Chiesa, ossia alla Teologia della sostituzione e perché – ancorché questo sia oggetto di dibattito – ha altri fili che lo legano alle radici della cultura e del pensiero occidentale (cf. D. Di Cesare, 2014). Eppure, non di solo antisemitismo si tratta, se è vero che Benedetto Croce, fermo oppositore delle politiche ‘razziali’ fasciste, si augurava, dopo la guerra, che gli ebrei italiani si mescolassero agli italiani non-ebrei così eliminando, a dir suo, le cause stesse dell’antisemitismo. Dunque, infine, anche chi, genuinamente, non è antisemita perviene alla tesi secondo cui causa dell’antisemitismo risiede nell’esser stesso degli ebrei in quanto popolo distinto. Come reagire fronte a questa idea – oggi più diffusa negli ambienti laici che non in quelli cristiani (i quali hanno invece sentito la necessità di riconoscere, con proprie categorie intellettuali, la raison d’être del popolo ebraico)? Il pensiero ebraico fornisce diversi strumenti per poter ragionare e quindi spiegare, all’esterno, il senso del rapporto tra l’universalità del monoteismo ebraico e la specificità delle prescrizioni che costituiscono il nucleo d’esistenza di Israel – come accennava Massimo Giuliani settimana scorsa in riferimento a Benamozegh. Resta, tuttavia, la domanda se sia giusto e/o necessario (e nel caso, perché) dover giustificare la propria esistenza (in quanto collettività) di fronte a colti nemici che nell’ebreo odiano ciò che per loro rappresenta l’ebraismo e di fronte ad auto-dichiarati amici che nulla hanno contro gli ebrei se non il fatto che continuino ad essere ebrei.
Cosimo Nicolini Coen