Religioni, diritti, democrazia
“Integrazione, un lungo percorso”
Un convegno scandito dagli anniversari, quello che si è svolto a Torino questo venerdì. Due le tavole rotonde, presiedute rispettivamente da Federico Vercellone, docente presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino e Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica cittadina, per analizzare il complesso rapporto tra religione e democrazia sia da un posto di vista storico che da un punto di vista più marcatamente giuridico. In apertura i saluti del Generale Franco Cravarezza, a nome dell’Associazione Amici della Biblioteca Nazionale e dell’assessore alla cultura del Piemonte, Antonella Parigi.
“Religione e democrazia. A 170 anni dallo Statuto albertino, a 80 dalle leggi razziali” ha visto quindi l’alternarsi degli interventi di Sergio Soave, direttore del Polo del ‘900; Umberto Levra, storico tra i massimi esperti del Risorgimento e presidente dell’omonimo museo; Giulio Disegni, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e avvocato, e Paolo Ribet, pastore valdese per la sessione “Dalla monarchia assoluta a quella costituzionale: un passo verso le libertà?”
Dalle persecuzioni secolari alle lettere patenti, il tema affrontato da Soave, a cui si lega quello del doppio volto di una dinastia, quella Savoia, che ha visto l’alternarsi di tregue, come quella concessa da Emanuele Filiberto, per poi giungere al periodo buio delle Pasque piemontesi, dove le persecuzioni nei confronti della minoranza valdese raggiungono apici mai toccati in quanto ferocia e efferatezza.
Umberto Levra si è invece concentrato sullo scenario storico-politico del 1848: uno scenario le cui basi affondano nel secolo precedente ed in particolare sull’onda lunga delle rivoluzioni, a partire dalla Rivoluzione Francese e dalle conquiste legate alle libertà di opinione e di religione. Con la Restaurazione si assiste al tentativo di cancellare molte delle conquiste raggiunte, ma non era possibile eliminarle del tutto. Si arriva al Congresso di Vienna dal quale emerge una sostanziale disomogeneità nel tentativo di ritorno al passato, da qui l’onda lunga delle rivoluzioni prende nuovamente piede, dando il via ai moti in Spagna, in Sicilia, in Piemonte e in Grecia.
Dai moti del ’48 allo Statuto Albertino con la concessione dei diritti civili ai valdesi e agli ebrei. A presentare il punto di vista ebraico e la relativa analisi dei profili giuridico-istituzionali dell’emancipazione è Giulio Disegni. “Il 1848 rappresenta un osservatorio privilegiato sulla condizione ebraica” afferma Disegni. Una grande stagione che segna l’inizio della fine di un’epoca, che apre anche alla riflessione sul tema dell’integrazione tra gli ebrei e il resto della società civile: “Integrazione e assimilazione, sono tematiche di estrema attualità”, conclude.
Il punto di vista valdese è invece presentato dal pastore Paolo Ribet, che ha definito l’emancipazione come “il prepararsi a vivere la libertà, una libertà che va conquistata e mantenuta , perché non è un qualcosa che viene data una volta per sempre”. I valdesi hanno risposto all’emancipazione ponendosi degli scopi ben precisi, spiega Ribet: “Fare l’Italia giocando la scommessa della formula libera chiesa e libero stato, sommando a questo intento uno sforzo marcatamente culturale”.
La seconda sessione, “Libertà di culto: una legge mai nata”, preceduta dai saluti del presidente del Comitato Interfedi Valentino Castellani e dall’Assessore alle Pari Opportunità Marco Giusta, è stata scandita dagli interventi dello storico Alberto Melloni, del presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky e dell’ex ministro Valdo Spini, intellettuale e studioso. Tre voci che si sono alternate nella riflessione legata al mancato passaggio dalle Intese alla Legge sulla libertà religiosa, ostacolato per lo più dalla libertà primaria, quella di coscienza, che contiene tutte le altre, ma proprio per il suo carattere onnicomprensivo e privo di barriere, ha sempre trovato degli ostacoli in campo giuridico per via di equilibri religiosi e giochi di potere politici.
“La libertà religiosa non la concedo perché se no qualcuno si lagna, ma perché ne ha diritto lui e se glielo nego, tolgo qualcosa anche a me”, queste le parole di Melloni in apertura, che si chiede perché si stia continuando a fare Intese invece di procedere con la Legge sulla libertà religiosa, “legge che assume sempre più l’aspetto della tela di Penelope, quasi fatta e poi disfatta”. Le cause di questo immobilismo risiedono, tra le altre cose, in quello che Melloni ha definito “Analfabetismo religioso, legato ad una mancanza strutturale di conoscenza che porta inevitabilmente ad un’instabilità legata al religious climate change e global warming”, conclude.
A tornare sulla questione della libertà di coscienza è poi Zagrebelsky: “La nostra Costituzione non proclama la libertà di coscienza: per quanto sia la prima libertà su cui si sono fondate le altre. La libertà di coscienza infatti sarebbe un concetto universale perché abbraccia le coscienze religiose, come quelle non religiose”.
“Ma è proprio questa doppia valenza a riscontrare ostilità”, afferma. Segue poi una riflessione sul titolo stesso del convegno ed in particolare sul concetto di democrazia: “Una delle sue caratteristiche ovvie è che è il regime comune del demos prevede che in democrazia non possano esserci parti separate; i regimi basati sugli accordi, si basano sì su un equilibrio, ma equilibrio sempre instabile”, continua, “perché il sistema degli accordi o intese, fa sembrare la democrazia come la sommatoria di separazioni, quando invece va concepita come unità”. Questo sistema di accordi divide la società, ponendosi quindi come elemento disgregante della democrazia. “Perché la democrazia è incompatibile con la frammentazione?- si chiede ancora Zagrebelsky. “Perché la democrazia è il regime in cui nessuno può pretendere di salvarsi da solo”. Infine Valdo Spini, che oltre a ripercorre i tentativi di proposta di legge all’interno del parlamento italiano, dal lontano 1994 all’attualità, dove sempre più il tema sembra essere stato del tutto accantonato, condensa lo stato attuale delle relazioni stato-religioni con una metafora: quella di un appartamento, spiega, dove al primo piano si trovano lo Stato e la Chiesa cattolica. Al secondo piano invece si trovano le altre chiese, che sono legate allo stato tramite la formula delle intese. “È un piano molto abitato: prima si trovavano solo i protestati e gli ebrei, poi sono comparsi gli ortodossi e i buddisti, ora si è affacciata una nuova realtà, quella musulmana”.
Alice Fubini
(18 febbraio 2018)