Periscopio – La giustizia d’Israele
“Ho sempre pensato – scrivevo nella mia nota settimanale dello scorso mercoledì 10 gennaio, ove esponevo la mia contrarietà alla pena di morte – che il dramma del Medio Oriente affondi le sue radici non in problemi di confini, capitali o cose del genere, ma, più semplicemente, nell’enorme distanza che separa, in termini di umanesimo, cultura e civiltà, Israele da molti dei suoi vicini. Tel Aviv da Gaza, Gerusalemme da Teheran, Beer Sheva da Beirut, Haifa da Damasco. Penso che la pace verrà da sola, cadendo come un frutto maturo, allorché questa distanza si sarà per lo meno sensibilmente ridotta. Ma la domanda principale è questa: vogliamo che siano gli altri ad avvicinarsi a Israele, oppure che sia il nostro piccolo, grande, amato Paese a fare un passettino… verso di loro?”.
Chiedo scusa per l’autocitazione, ma devo riproporre questa mia considerazione, parola per parola, perché esprime esattamente quello che penso riguardo alle reazioni, che giudico decisamente fuori luogo e fuori tono, di alcuni israeliani e amici di Israele, di fronte alle indagini in corso a carico del premier Netanyahu. Stupisce, francamente, che chi ha sempre sottolineato, con mille ragioni, la superiorità, sul piano della civiltà giuridica e del rispetto del diritto, di Israele rispetto ai suoi vicini (e anche rispetto a molti Paesi europei e occidentali), passi poi disinvoltamente a emularne i comportamenti (incentrati sull’idea della sacralità e intangibilità del ‘capo’), o a scimmiottare i peggiori vizi della peggiore politica italiana, con le accuse di “lesa maestà” alla polizia, alla stampa e alla magistratura, quando il loro operato risulti scomodo o imbarazzante.
Gli uomini sono uomini, si comportano da uomini e possono agire bene o male dovunque, nei Paesi democratici come in quelli tirannici. L’onestà e la rettitudine non sono categorie politiche, sono politici gli strumenti che permettono di contrastare l’errore e il delitto. E non esiste al mondo un Paese di uomini solo probi e virtuosi, nel quale non ci sia bisogno di giustizia, perché sono tutti giusti di natura. Neanche Israele. E, aggiungo: per fortuna. Ricordiamo le famose parole di Ben Gurion: “lo Stato ebraico esisterà veramente quando per la prima volta un poliziotto ebreo acciufferà un malvivente ebreo per farlo giudicare e mandare in prigione da un giudice ebreo”. Non disse: “esisterà quando le sue strade saranno piene di rabbini, filosofi, artisti e scienziati ebrei”. Perché il fondamento primo di Israele, la sua stessa ragion d’essere, coincide con quelli dello stesso dell’ebraismo, ossia – come recita la Dichiarazione di Indipendenza – con gli ideali di giustizia professati dai profeti dell’antico Israele. Come reagisce Natan di fronte alla colpa di Davide? Cosa gli dice? dice forse: “bravo maestà, tu sei il capo, hai sempre ragione?”. E stiamo parlando di re Davide, non di Kim Yong-Un.
Non sappiamo, ovviamente, se il Primo Ministro abbia delle responsabilità – come le aveva Davide -, e gli auguriamo sinceramente di dimostrare la sua estraneità ai fatti. Ma il Premier, in Israele, attinge il suo potere e la sua legittimità esclusivamente dalla forza della legge, della morale e della democrazia del suo Paese. Molti altri Paesi, come ben sappiamo, possono fare a meno di queste cose, ma Israele no. Confidiamo perciò che il Presidente del Consiglio sappia assicurare la più completa collaborazione agli organi inquirenti, fidandosi della giustizia del suo Paese. Così come confidiamo che la Knesset non voglia mischiare la legittima lotta politica con le indagini giudiziarie in corso; che la polizia faccia il suo lavoro con scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno e senza nessun secondo fine di tipo politico; che la magistratura giudichi in tempi rapidi con rigore e serenità, senza alcun pregiudizio; che la libera stampa svolga con obiettività il suo compito di informazione, senza fare “il tifo” a favore o contro; che i cittadini di Israele rispettino la presunzione d’innocenza, e rispettino il Premier in carica nella sua funzione, fino all’ultimo momento che la espleterà. Invitiamo tutti i Paesi democratici del mondo, o sedicenti tali, a prendere esempio dalla democrazia di Israele. Ammoniamo i nemici di Israele a non illudersi: quel che accade è un segno della forza del loro nemico, non di una sua debolezza: auguriamo di tutto cuore che, tra mille anni, anche da loro possa accadere qualcosa di simile. E ricordiamo a quei filo-israeliani che lo abbiano dimenticato che Israele è la culla della giustizia e, piaccia o non piaccia, tale resterà.
Francesco Lucrezi, storico