La proibizione dell’idolatria
Continua la costruzione del Mishkan, che impegna anche la prossima parashat Tetzavè prima della rottura del patto con la costruzione dell’idolo descritta successivamente in Ki Tisa. Ma qualcosa nell’inizio della descrizione del Mishkan, letto lo scorso Shabbat nella parashat Teruma, non convince appieno.
Le tavole del patto sono state donate da poco, ed il Signore ordina di costruire, sul coperchio di quell’arca che contiene le stesse tavole e a guardia di esse, due keruvim, esseri alati antropomorfi? Appena avuta istruzione di non costruire idoli e di non venerarli, viene ordinato di creare due statue, descritte con dovizia di particolari?
Essi si fronteggiavano ed innalzavano le ali verso l’alto sino a toccarsi; i loro visi si guardavano l’un l’altro e contemporaneamente guardavano verso le tavole contenute nell’arca (Shemot 25:18-20). Rashi ci dice che avevano volti di bambini, e Nachmanide che rappresentavano le immagini viste da Ezekiel nella sua visione divina dei chariot. Le Cronache riportano che anche quando Shlomo fece costruire il Tempio “sulle pareti fece scolpire dei Cherubini” (Cronache II, 3: 7), e che di nuovo nel Santissimo mise due due cherubini scolpiti nel legno e rivestiti d’oro, di cui sono descritte le dimensioni delle ali, e viene specificato che i keruvim erano “in posizione eretta con le facce rivolte all’interno” (Cronache II, 3:10-13).
Dei keruvim sappiamo che erano posti a guardia del Gan Eden roteando una spada fiammeggiante “per custodire la via che portava all’albero della vita” (Bereshit 3:24).
Potremmo forse pensare che in fondo essi abbiano un significato simbolico, ad esempio essere in terra (quindi nel Mishkan) come in cielo (nel Gan Eden), come più volte ricordato nei tehillim (18:11, 80:2…), o essere guardiani della Torà innocenti come i bambini che ad essa si accostano con meraviglia e stupore, con volti diversi ma accomunati dall’amore per la Torà al pari dei diversi componenti di Am Israel, e così via. Ma anche altre immagini potrebbero avere un significato simbolico, eppure non per questo vengono riprodotte.
Vero è che i cherubini scolpiti sul coperchio dell’arca sarebbero stati visti solo dal Kohen Gadol e solo il giorno di Kippur in cui egli sarebbe entrato, solo, nel Kodesh HaKodashim che conteneva l’arca stessa. Ma poi HaShem comanda anche di fare dieci cortine di lino “a forma artistica di cherubini” (Shemot 26:1). E ancora dice come fare la tenda di stoffa azzurra, di nuovo “con figure di cherubini” (Shemot 26:31) a dividere il Santuario dal Luogo Santissimo, ovvero quello che trasferito simbolicamente nell’architettura diasporica dal Mishkan e poi dal Bet HaMikdash reale ai Batei HaKnesset del galut intesi come templi che santificano il tempo, è il nostro parochet posto davanti all’Aron HaKodesh. Eppure noi abbiamo mantenuto saldo il divieto di raffigurare immagini, tant’è che non abbiamo keruvim sul parochet delle nostre sinagoghe né tanto meno sulle pareti.
Rambam dice che la proibizione dell’idolatria riguarda solo immagini ideate e fatte dall’uomo, e quindi i keruvim sarebbero esclusi perché ordinati direttamente dal Signore (Morè Nevukhim III, 45). Come dire che l’uomo corre il rischio di idolatria quando cerca di innalzarsi a credersi divinità, ma se le sole immagini permesse sono quelle volute da Dio, l’uomo non può correre il rischio di idolatria. O a significare che forse il Signore li ha voluti come concessione alla necessità umana di comprendere chi possa stare a guardia della Torà per conto di Dio stesso, e siccome l’uomo ragiona in termini antropomorfi, altro non poteva essere.
Sara Valentina Di Palma
(22 febbraio 2018)