Oltremare – Pensiero positivo
Israele è quel luogo della terra in cui se al guidatore dell’autobus gira di coltivare nana (versione locale della menta, ma molto più dolce e gradevole della menta) sul cruscotto, va a comperarsi un vasetto, lo monta su di un supporto che comprende un piatto coi bordi alti, dove l’acqua in eccesso può colare e non schizzare sui passeggeri. E quando fa la pausa obbligata, il guidatore stacca qualche fogliolina e si fa un ottimo the. E se un guidatore (lo stesso o un altro) vuole festeggiare Purim, la mattina va dal cartolaio (che qui non esiste, in realtà, ed è sostituito da negozi per madri ipercreative e bambini confusi e felici con mani piene di macchioline di colore) e compera maschere e cartoncini colorati con temi adatti alla festa, e li appende qua e là lungo i tubi di metallo ai quali noi ci appendiamo per cercare di stare in piedi, arte circense fatta di mezze piroette e presa a tenuta stagna ai suddetti tubi praticata intensamente da ogni viaggiatore su autobus israeliano.
La libertà di pensiero positivo (anche applicata a situazioni da Gran Premio di Formula 1 un filo fuori luogo) è una della libertà fondamentali, mai abbastanza difesa da costituzioni e carte dei diritti. E qui, anche per via della natura impervia e della storia non propriamente pacifica della regione, diventa una libertà da difendere a costo di rasentare il ridicolo. Anni fa, prendevo ogni giorno un autobus su di una tratta verso fuori Tel Aviv e almeno un paio di volte la settimana salivo sull’autobus di un altro di questi guidatori con forte bisogno di esprimere pensiero autonomo, e positivo, che aveva riempito ogni angolo del veicolo con peluche di ogni misura, colore e forma, appesi o ancorati all’arredo interno in modo che perlomeno non rotolassero ad ogni curva. Era talmente pieno che sembrava un negozio di giocattoli ambulante: i bambini ci salivano e restavano a bocca aperta – di solito afoni – per tutto il tragitto, segno che il guidatore aveva raggiunto il suo scopo.
Daniela Fubini