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La Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento Europeo relativa alla “protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali” sta compiendo serenamente il suo iter che comporterà la sua adozione in toto anche in Italia a partire dalla prossima fine di maggio. Le motivazioni che hanno spinto gli organismi europei a adottare questo provvedimento sono certo valide, e tuttavia la cieca generalizzazione burocratica e l’appiattimento ai diversi ambiti della realtà sociale di una normativa così restrittiva rischia di generare danni rilevanti. Prendiamo in considerazione ad esempio il comma 2 dell’art. 2 che recita: “La presente direttiva si applica al trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi”. Un istituto di ricerca, un archivio, che per sua stessa definizione raccoglie, conserva e “divulga” dati personali (ancorché storici), allo stato dei fatti oggi si vedrà costretto per rispettare la legge a mettere in pratica delle dinamiche restrittive che comporteranno un oggettivo danno alla natura stessa dell’istituto, e in senso lato alla libertà di ricerca storica. La motivazione che muove il legislatore è di natura penale e non ha nulla a che fare con le dinamiche ideologiche che hanno spinto di recente il governo polacco a adottare la tanto discussa legge sulla difesa del buon nome nazionale. Tuttavia i risultati della nuova normativa sulla privacy in termini pratici saranno altrettanto dannosi per la ricerca storica e per la libertà di divulgazione e di pubblicazione di materiale di indiscusso interesse. Sarà più difficile concedere in uso fotografie a trasmissioni televisive o per l’organizzazione di mostre o la realizzazione di film, sarà necessario percorrere complicate trafile amministrative per tutelare i diritti del soggetto rappresentato nella foto, ad esempio, ma anche dei suoi eredi, oltre a quelli dell’ente che conserva il materiale e dell’organizzazione che lo vuole divulgare. Non sarà facile, nei prossimi mesi, trovare un punto di mediazione fra le evidenti necessità di tutela ai fini penali dei singoli cittadini, e il sacrosanto diritto a compiere in libertà il lavoro di ricerca e divulgazione storica, sul quale la nostra società investe importanti risorse.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC