Il gioco dei simulacri

torino vercelliSono in corso le elezioni, nelle stesse ore in cui state leggendo questo pilpul. Che non intende (né potrebbe) entrare nel merito delle scelte che, in piena coscienza e totale libertà, ognuno di noi eserciterà per conto proprio. Una legislatura si è naturalmente conclusa e questo è già di per sé un risultato. Il Paese, che pure tra molte difficoltà non sta tuttavia vivendo il suo momento peggiore, non almeno rispetto ad altri periodi della sua recente storia, pare tuttavia smarrito o comunque incerto. L’offerta politica ha ripetutamente battuto il chiodo su alcuni temi indice (presenza ed effetti delle immigrazioni; ipotesi, più o meno verosimili, di macroriforme fiscali e dei sistemi di tassazione; indicazioni di indirizzo per alcune revisioni legislative in divenire rispetto alle questioni relative ai diritti civili e di identità) ma è risultata fortemente deficitaria rispetto ad altre questioni che da tempo sono invece entrate, e con prepotenza, nell’agenda delle famiglie italiane: reddito, lavoro, equità sociale ed economica, giustizia redistributiva per il tramite dei sistemi di Welfare State. Va da sé che non tutte le ambasce e i timori che accompagnano i pensieri quotidiani dei nostri connazionali siano esclusivamente riconducibili a queste uniche priorità. Tuttavia, il senso di insicurezza che si è ripetutamente manifestato, e non solo in questo finale di stagione politico-elettorale, batte anche tali tasti. Si tratta dell’incertezza per il tempo a venire, il quale risulta assai meno preventivabile – nei suoi sviluppi di fondo – di quanto, anche solo una decina d’anni fa, sembrava invece possibile. Non è un problema meramente italiano, coinvolgendo semmai un po’ tutti i paesi a sviluppo avanzato. Quella lunga stagione di repentini cambiamenti che abbiamo chiamato «crisi», e che ha mutato una parte degli equilibri preesistenti, generando una vera e propria ristrutturazione sociale, con un qualche vantaggio per certuni e molti oneri per tanti altri, giunge come compimento di almeno quarant’anni di modificazioni dei sistemi di produzione sociale della ricchezza e della sua ripartizione collettiva. La sensazione, non importa quanto realmente supportata e riscontrata dai fatti, di avere pagato ingiusto pegno a tale riguardo, ha diffuso tra una parte degli elettori la convinzione di essere stati traditi nelle loro aspettative. L’area del risentimento è così divenuta una sorta di bacino dello sconcerto e dello sconforto. Raccogliendo una molteplicità di pulsioni, tanto più aggressive in quanto dettate da un senso crescente di espropriazione e di impotenza inconsolabili, che le liste elettorali presentatesi alla prova del voto hanno cercato di intercettare e tradurre in consenso per se stesse. Vedremo quale sarà la configurazione politica con la quale, da domani mattina, dovremo confrontarci, ad urne chiuse e spoglio ultimato. Quello che tuttavia è certo fin da adesso, una volta tanto risparmiando il lettore (che è anche elettore) dal doversi confrontare con cervellotiche analisi nel mentre si reca al seggio, è il lungo, profondo e continuativo timbro dell’aggressività e dell’acrimonia con le quali si è svolta una campagna elettorale altrimenti del tutto priva di spirito e sostanza. Più che un confronto di merito, infatti, è parsa quasi essere una battaglia di simulacri, di immagini, di evocazioni. La politica sconta un po’ ovunque la sua perdita di forza e aderenza rispetto al merito delle decisioni che contano. Le quali, sempre più spesso, sono anche e soprattutto il risultato di percorsi e processi che esulano dagli abituali luoghi della rappresentanza democratica. Non è quindi un caso se proprio dalla collettività sia arrivata, a più riprese, molto spesso in forme confuse, la domanda ripetuta di una nuova considerazione del suo proprio ruolo. Che una tale richiesta abbia rivestito i panni del cosiddetto «populismo», che si sia anche alimentata del lessico razzista, che si sia espressa in maniera il più delle volte confusa, nulla toglie alla sua urgenza ed inderogabilità. Qualunque sia lo scenario che, dalle prossime ore, verrà configurandosi. Non capirlo equivarrebbe a non comprendere che cosa sia (divenuta) la politica.

Claudio Vercelli

(4 marzo 2018)