Il linguaggio dell’odio
Un recentissimo contributo di Guido Alpa (Autonomia privata, diritti fondamentali e “linguaggio dell’odio”, Contratto e Impresa, 2018, p. 45) richiama i profili giuridici dell’odio, inteso non più come fenomeno soltanto patologico/irrazionale bensì come fenomeno dai risvolti, connotazioni e conseguenze d’ordine giuridico. In precedenza, abbiamo qualche altro contributo, come ad esempio F. J. Ansuategui Roig, Libertà di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili: paradigmi e nuove frontiere, Ars Interpretandi, 2017, p. 29; C. Caruso, L’Hate Speech a Strasburgo: il pluralismo militante del sistema convenzionale, Quaderni costituzionali, 2017, p. 963; A. Mazziotti, “Fake news”,”fake people” e società della (dis)informazione: riflessioni su democrazia, informazione e libertà fondamentali al tempo dei “social network”, I Diritti dell’uomo: cronache e battaglie, 2017, p. 57; M. Spatti, “Hate speech” e negazionismo tra restrizioni alla libertà d’espressione e abuso del diritto, Studi sull’integrazione europea, 2014, p. 341; vedi anche G. Pitruzzella, O. Pollicino, S. Quintarelli, Parole e potere. Libertà d’espressione, hate speech e fake news, Egea, 2017 nonché Anne Weber, Manual on Hate Speech, Council of Europe Publishing, 2009, liberamente scaricabile dal web.
È da rammentare, al riguardo, che il 6 luglio 2017 la commissione parlamentare italiana “Jo Cox” (intitolata alla parlamentare britannica uccisa da un estremista di destra nel 2016) sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio ebbe ad approvare la sua relazione finale. La Commissione era stata istituita il 10 maggio 2016, era presieduta dalla Presidente della Camera e, sul modello già sperimentato per la Commissione di studio sui diritti e i doveri dei cittadini in Internet, includeva un deputato per ogni gruppo politico, così come esperti, rappresentanti dell’ISTAT, Consiglio d’Europa, Nazioni Unite-UNHCR nonché di centri di ricerca e di associazioni. Un comitato ristretto, presieduto dalla (validissima) Chiara Saraceno predispose il progetto di relazione finale.
Paradossalmente, visto che l’Italia era stata alleata di Hitler, aveva emanato le leggi razziali e perseguitato gli ebrei, nella relazione finale, l’antisemitismo merita non molte frasi e mancano componenti dell’associazionismo ebraico. In quello, sembrerebbe essere stata un’occasione mancata. Tuttavia, la Commissione ha emanato una relazione obiettiva, tale da accontentare le persone oneste e da scontentare le (sterminate) coorti dei faziosi, quale che sia la loro connotazione ideologica, etnica, nazionale e religiosa. Quelle cennate poche frasi, inoltre, sono quanto mai calzanti e precise.
Nel testo si rammenta che “nella sua ampia giurisprudenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di esprimersi su numerose forme di discorso d’odio tra cui l’incitamento alla violenza, odio per motivi religiosi, odio per motivi etnici, omofobia, negazionismo e molte altre. L’aspetto più importante sul quale la Corte si è pronunciata è il limite tra libertà di espressione e discorso d’odio – dove finisce l’una e comincia l’altro. Tra le sue decisioni più importanti, vanno menzionate: M’Bala M’Bala c. Francia del 20 ottobre 2015 (il caso concernente il famoso umorista francese Dieudonné), in cui la Corte ha dichiarato che una esplicita esibizione di odio e di antisemitismo camuffata da produzione artistica è pericolosa quanto un attacco diretto e non merita la protezione prevista ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo..” Si riferisce altresì che “un’iniziativa estremamente innovativa è la già menzionata campagna No Hate Speech Movement, il movimento contro il discorso d’odio, che il
Consiglio d’Europa sta coordinando dal 2013 e che giungerà a termine nel
2017”. Inoltre, la relazione rileva che “nel 2016, l’Alleanza Internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA) ha adottato una definizione di lavoro non giuridicamente vincolante dell’antisemitismo come di ‘una certa percezione degli ebrei, che può esprimersi come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni teoriche e fisiche dell’antisemitismo sono rivolte contro ebrei o non ebrei e/o contro le loro proprietà, contro le istituzioni e strutture religiose della comunità ebraica’. L’IHRA ha anche spiegato che costituiscono esempi di antisemitismo il ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele e l’accusarli di essere più fedeli a Israele o alle presunte priorità degli ebrei di tutto il mondo, che agli interessi delle proprie nazioni.”
Infine, la Commissione parlamentare asserisce che “attualmente costituiscono problematiche di grande rilievo in Europa la diffusione dell’odio antisemita da parte di gruppi neonazisti, estremisti di destra e di alcuni gruppi di sinistra estrema, nonché la radicalizzazione diffusa tra i giovani delle comunità musulmane in Europa occidentale”.
Si rileva, ancora, che “come è stato diffusamente evidenziato dal Rapporto
della Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme francese, un antisionismo risultante dall’amalgama polemico tra “ebreo”, “israeliano” e “sionista”. Ad avviso del rapporto francese, tale antisionismo starebbe passando dall’estrema destra all’estrema sinistra ed avrebbe la forza di unire contro un nemico comune, in nome della difesa dei Palestinesi, sensibilità tra loro molto diverse come quelle dell’islamismo radicale e della sinistra terzomondista (Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme, 2015, p. 110)”. Conoscendo il valore di Chiara Saraceno, non sorprendono: a) l’ampiezza della ricerca b) che non si siano fermati alla sola battigia/bagnasciuga del fascismo c) che non siano rimasti fermi agli anni Cinquanta d) che per prima volta si discorra di odio (anche) senza aggettivi (Hate Speech). Perché non è detto che sia consolatorio essere perseguitati dagli amici, quando esiste la possibilità, pur teorica, di non essere perseguitati da nessuno.
Anche se la libertà d’espressione è un diritto fondamentale, ciò non traspare sempre dall’ordinamento giuridico italiano, né da tutta la dottrina né da tutta la giurisprudenza, laddove i reati di vilipendio, d’oltraggio e il reato d’opinione, retaggi del fascismo, continuano talvolta ad affacciarsi oppure laddove una lettura insoddisfacente della storia conduce a conclusioni ed a pronunce altrettanto insoddisfacenti. Ciò non toglie che l’odio non possa essere oggetto di tutela, quasi che fosse un imprescindibile corollario della libertà d’espressione; si tratta soltanto di trovare un punto di equilibrio fra diritti e doveri, considerando sia le norme transnazionali che le opposte vedute fra le esperienze di common law e quelle di civil law.
A tale riguardo, è da richiamare l’opinione di chi considera che “Free speech is essential to collective decision making; however, when hate speech places reasonable people in fear for their well-being or advocates discriminatory conduct it undermines the very collective autonomy“ (Tsesis, Alexander, Dignity and Speech: The Regulation of Hate Speech in a Democracy (May 1, 2009). Wake Forest Law Review, Vol. 44, 2009, che considera anche la giurisprudenza americana). Si considera anche, nello specifico, che “Hateful words are part of a calculated strategy to denounce Israel and bring about a “World without Zionism”” (Cohen-Almagor, Raphael, Holocaust Denial is a Form of Hate Speech (December 11, 2009). Amsterdam Law Forum, 2009).
Ai nostri fini, conviene assumere l’ipotesi che il discorso d’odio rientri nell’ambito dell’illegittimità laddove intimidisca o discrimini gravemente. Poiché la suddetta Commissione ha emanato 56 raccomandazioni, sulla loro falsariga, il Parlamento di prossima formazione potrebbe emanare anche una raccomandazione che accolga e raccolga la definizione IHRA di antisemitismo. A nostro avviso, sarebbe errato creare nuove fattispecie delittuose, essendo preferibile l’ambito della soft law, contigua, fra altro, all’educazione civica.
Per contro, sarebbe saggio riordinare con legge l’ambito dell’attuale d. lgs. 9 luglio 2003, n. 215, recante attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica al fine di includervi le previsioni dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vietano qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. In questo modo, l’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni, di cui all’art. 7 del predetto d. lgs. 215/2003 potrebbe svolgere al meglio la sua pregevole missione di moral suasion.
Emanuele Calò, giurista