“Memoria, l’Italia assume la guida”
Il futuro della democrazia e il futuro dell’Europa si giocheranno sul campo della Memoria. Al di là delle celebrazioni, delle manifestazioni ufficiali, della ricerca accademica, della creazione culturale, la Memoria della Shoah continua a rappresentare materia incandescente per la politica e banco di prova per le società occidentali che stanno conoscendo l’ondata dei populismi e l’erosione dei valori di convivenza civile. Ma il terreno della Memoria sarà anche uno di quelli che vedranno, a partire dai prossimi giorni, la diplomazia italiana protagonista. Il nostro paese assume infatti proprio adesso la presidenze dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), l’organizzazione internazionale che ha sede a Berlino e che si occupa della politica e della tutela della Memoria della Shoah. Capo della delegazione italiana, l’ambasciatore Sandro De Bernardin, che ha alle spalle una lunga esperienza in diverse sedi diplomatiche e una felice esperienza di rappresentante dell’Italia in Israele, ha deciso di andare proprio a Berlino per raccogliere il testimone dell’IHRA dalla presidenza elvetica uscente.
Un gesto di alto valore simbolico che si svolgerà nelle sale dell’ambasciata italiana a Berlino, quello stesso edificio, considerato fra le costruzioni più affascinanti della capitale tedesca, edificato alla vigilia della Seconda guerra mondiale per simboleggiare la catastrofica alleanza del regime fascista con l’alleato tedesco. Oggi il lavoro sulla Memoria vede la Germania in prima linea e l’Italia impegnata come mai prima per far sì che il ricordo della Shoah non resti solo un dato formale, ma divenga fattore attivo di conoscenza e di protezione per tutte le società civili.
Certo c’è il rischio che in una stagione di grandi fermenti politici sul fronte interno l’attenzione sia distolta dal vostro lavoro, ma come che si vedano le cose, ambasciatore, l’Italia si appresta ad assumere una responsabilità importante.
Non c’è dubbio. L’IHRA è un meccanismo molto complicato e molto delicato, anche per la composita partecipazione di realtà molto diverse fra loro al suo interno. Ma proprio questo costituisce l’importanza dell’organizzazione.
In che senso, e di che tipo di differenze sono portatori i paesi partecipanti?
Abbiamo una categoria di paesi, a cominciare dalla Germania, che sulla Memoria hanno già alle spalle un’esperienza solida, considerevole. Abbiamo realtà come in genere i Paesi nordici che vedrebbero con favore la mutazione di questa organizzazione in una ONG dedicata più in generale alla protezione dei perseguitati e che tenderebbero quindi a discostarsi dalla vocazione originaria fissata dai fondatori. Abbiamo le realtà dell’Est Europa che hanno cominciato
molto più tardi a fare i conti con il passato.
Possiamo citare qualche caso concreto?
L’Ungheria, impegnata alla guida dell’organizzazione nel 2015 mentre per le strade al suo interno si inauguravano fra mille contraddizioni statue a statisti dal passato antisemita.
E la Polonia?
Evidentemente la questione sullevata dalla nuova legge che è stata da poco approvata dal parlamento polacco finirà all’esame dell’IHRA. E si apriranno diverse prospettive. Non saprei dire se si finirà con un muro contro muro o se riuscirà a intessere un lavoro diplomatico. Il ruolo della conduzione italiana sarà di tenere per quanto possibile la compagine internazionale unita anche in questi tempi difficili. E per stare uniti non bisogna aver paura di puntare con ambizione a un grande orizzonte, è più facile stare uniti se si guarda lontano.
Ma l’IHRA, a cosa serve?
Fra i cardini dell’istituzione c’è la difesa della Memoria, lo sviluppo della ricerca accademica, la conservazione dei luoghi di Memoria e le tracce di quello che avvenne durante la Shoah, lo sviluppo dei progetti educativi, i musei, la comunicazione, un gruppo di lavoro dedicato all’antisemitismo e al negazionismo nelle società contemporanee, un
gruppo di studio sul genocidio dei Rom.
L’organizzazione si occupa solo di regolare i conti con il passato?
Evidentemente si tratta di temi che solo nel corso di un lavoro di definizione incidono fortemente sulla nostra vita attuale e su quella dei paesi dove viviamo, basti pensare all’attualità del dibattito sui flussi migratori, al rifiuto delle identità diverse. Il problema credo sia che allargando a dismisura l’orizzonte l’organizzazione corre il rischio di perdere la sua efficacia. E invece dovrebbe puntare a fare la differenza, a incidere con efficacia sulla realtà.
E come?
È una delle riflessioni necessarie proprio in quest’anno di presidenza italiana. La politica della Memoria è un fattore sempre più sensibile e sempre più importante. Sarà necessario fare delle scelte se vogliamo che l’IHRA si dimostri all’altezza della situazione. Un rapporto strategico riservato è stato appena depositato e contiene diverse indicazioni. Il nostro compito è quello di misurarci su questi spunti.
L’anno italiano sarà occupato solo da questo ripensamento della struttura?
No, c’è molto altro da fare. E fra le varie scadenze dovremo prendere in esame anche le domande di adesione di nuovi membri, come l’Australia o la Romania. E soprattutto impegnarci sul fronte dell’educazione. Anche investendo per migliorare gli strumenti didattici a disposizione. Le linee guida che il ministro Fedeli ha appena approvato saranno utili a questo proposito perché contengono importanti riferimenti concreti e l’Italia si candida in questo modo a divenire laboratorio e punto di riferimento sul piano internazionale.
Lei, ambasciatore, ha voluto alla cerimonia di Berlino i lavori dei studenti italiani che si sono distinti nel concorso I giovani ricordano la Shoah. Conta di portare anche altre esperienze che l’Italia ha acquisito?
In cantiere abbiamo diverse iniziative. Dobbiamo ricordare anche che questo anno di presidenza italiana coincide simbolicamente con l’ottantesimo anniversario dell’approvazione della legislazione persecutoria antiebraica da parte del regime fascista. Un momento tragico nella storia italiana di cui nei prossimi mesi si parlerà molto. Ma lavoriamo per la realizzazione di filmati d’animazione con la Rai, stiamo lavorando a un documentario che raccoglierà molte testimonianze di sopravvissuti italiani. Molte altre occasioni di incontro e di approfondimento si articoleranno durante l’anno.
La sensazione, per chi lavora all’interno dell’IHRA, è quella di una perdita di centralità nella percezione della Memoria?
La situazione è molto complessa e molto articolata. Dal punto di vista delle istituzioni io parlerei piuttosto di una grande maturazione. Questa è la seconda volta che all’Italia tocca assumere la guida dell’organizzazione. La prima fu nel 2004.
E possiamo misurare una differenza. Il grande impegno della Farnesina e del ministero dell’Istruzione, l’attenzione e l’attesa per questi mesi di lavoro che ci attendono testimoniano di una nuova stagione di impegno. In passato non si registrava questa dimensione dell’impegno e questa ambizione.
Ma l’IHRA in realtà a cosa serve? È in grado di influenzare davvero la realtà?
L’organizzazione serve per ispirare e condizionare le attività e le posizioni degli stati. Si potrebbero citare numerosi esempi della sua azione concreta, al di là dell’adozione della definizione di antisemitismo.
Aver indotto il governo ceco ad acquistare un’area che fu teatro di eccidi di ebrei, e quindi di un luogo di Memoria che rischiava di andare perso.
Aver portato la Serbia a caratterizzare i propri luoghi di Memoria con contesti rispettosi della verità storica e liberi per quanto possibile dalla retorica univoca che caratterizzò i regimi comunisti, aver portato il governo ungherese a correggere provvedimenti che avrebbero potuto giustificare un diniego a fornire elementi su quanto accaduto durante lo sterminio. Molte azioni che hanno lasciato il segno. Ma un lavoro enorme resta ancora da compiere ed è meglio non perdere di vista le sfide che ci attendono.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche Marzo 2018