…crisi

A tre giorni dal voto, con gli animi che cominciano a raffreddarsi, è già possibile riflettere in maniera più razionale sui risultati e soprattutto sulle possibili vie di fuga da una situazione cha appare in stallo. Naturalmente, il grande sconfitto di queste elezioni è il fronte (tutto intero) del centro-sinistra. La crisi della socialdemocrazia riguarda tutta l’Europa ed affonda le proprie radici in un processo di globalizzazione che ha radicalmente mutato la struttura delle società occidentali. Il corso della storia ha reso necessarie nuove sintesi politiche, che implicavano un superamento dello Stato-nazione e delle politiche che lo contraddistinguevano, compreso quel proverbiale welfare che era il vanto di questa parte di mondo. Dalle nostre parti ciò significava arrivare a questo appuntamento dopo un radicale percorso di ristrutturazione dei conti pubblici, senza cadere nell’abbaglio che il contribuente tedesco avrebbe pagato le tasse dell’evasore italiano o greco. Le sinistre occidentali, invece, si sono contraddistinte per il loro cieco conservatorismo, optando per assurde scissioni (vedi Francia, Italia, Grecia) e avvallando politiche che, come storia insegna, sarebbero poi state monopolio della destra sociale, che poi vuol dire fascistoide. Invece che assecondare il processo di formazione dell’Unione europea si è alimentata un’assurda campagna anti finanziaria e anti globalizzazione, che ha finito per alimentare le chiusure identitarie della peggior specie. La tiepidissima, per usare un eufemismo, campagna di sostegno al «Remain» del Labour inglese guidato da Corbyn (anti-Nato, anti-finanza e anti-tutto) resta, ai miei occhi, il segno più evidente di questa miopia. Con la crisi del 2007 (in Europa dovuta ai monumentali debiti pubblici) i nodi sono venuti al pettine ed è scoppiata una rabbia sociale contro la quale è impossibile apporre alcun argine. Un errore storico, dovuto non solo alla miopia delle classi dirigenti, ma anche ad un elettorato nostalgico e conservatore, che si è riversato nelle forze antisistema. Non solo da noi, ovunque. Il problema è che questi movimenti sono appunto il semplice riflesso di una rabbia sociale e sono a dir poco impreparati a governare una situazione così complessa. Non si tratta solo dei congiuntivi di Di Maio, ma di capire come dei piccoli staterelli possano competere con Stati-continenti come Cina, Russia, o India. In che modo i vari governi ungheresi, polacchi, austriaci possono pensare di non divenire vassalli di queste nazioni enormi? Il vecchio Husserl, nel 1938, con i nazisti alle porte di casa, scriveva la sua più grande opera, che oggi dovrebbe essere studiata in tutte le scuole di partito: «La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale». Nell’Introduzione diagnosticava la crisi che stava sconvolgendo il Vecchio Continente e si chiedeva: la scomparsa dell’Europa equivale alla scomparsa di altre aree del mondo come Cina o India? No, non è la stessa cosa. Crisi dell’Europa significa tramonto del grande sogno universalistico, sintesi di cultura biblica e filosofica. Significa fine di ogni sogno egualitario, crisi dell’idea stessa di libertà su cui si è costruito l’Occidente tutto. La mutazione genetica avvenuta negli Stati Uniti con l’elezione di Trump sembra essere il segno più esplicito di come il modello politico dominante nel futuro sarà quello piramidale con al vertice l’uomo forte. Sembra che il faraone sia tornato per riprendersi il trono perduto.

Davide Assael, ricercatore