JCiak – Una storia da Oscar
Trasformare un libro in film è un’impresa. Più il libro è folgorante, più è difficile (vedi Philip Roth, che sul grande schermo si appiattisce e scolora). Ancor più difficile è che una sceneggiatura soddisfi lo scrittore. Scrittura e cinema sono parenti stretti, ma nella traduzione qualcosa finisce sempre per andare perduto. Arriva quindi come una magnifica eccezione l’Oscar a James Ivory per l’adattamento di Call Me by Your Name, la storia d’amore diretta da Luca Guadagnino. Basato sul romanzo dello scrittore ebreo-egiziano André Aciman, il film ha infatti conquistato l’autore che al rapporto fra cinema e letteratura aveva dedicato, prima degli Academy Awards, un lungo e bel saggio su Vanity Fair.
Sul palco degli Oscar James Ivory, 89 anni, già nominato all’Oscar per Camera con vista (1987), ha ringraziato André Aciman sottolineando l’universalità della sua storia. “Ciascuno di noi ha sperimentato il primo amore e ne è venuto fuori intatto”, ha scherzato.
Ma non è solo questione di storie e Ivory lo sa bene. Perché le parole diventino immagini senza smarrire il loro sapore, serve un’alchimia speciale. “Il cinema – conferma Aciman – può essere un mezzo assolutamente magico. Quel che faccio come scrittore e ciò che Guadagnino fa come regista è più che parlare due lingue diverse. Io cesello una statua fino al più minuto inafferrabile dettaglio. Il regista la fa muovere”.
L’autore ricorda bene la sensazione di perplessità provata all’arrivo sul set di Call Me by Your Man, un’ora dopo l’atterraggio a Milano. “Ero stanco, jet-lagged, avevo bisogno di un’ora di riposo ma l’autista mi portò direttamente nella piazza di Pandino, dove la troupe si preparava a girare. Al centro della piazza c’era un monumento della prima guerra mondiale, nell’angolo in fondo c’era un minuscolo caffé. Non era la piazza che mi ero figurato anni prima scrivendo Call Me by Your Man”.
Nella fantasia di Aciman, Elio (Timothée Chalamet) e Oliver (Armie Hammer) s’incontravano in una piazza raccolta, in cima a una collina affacciata sul Mediterraneo spazzato dal vento. Lo scrittore si rassegna, con un filo di malinconia, a vedere cambiata la sua storia. Ma proprio agli antipodi del suo immaginario, nella calma piatta di quel mezzogiorno lombardo, la vede prendere vita e colore.
È la scena centrale. Elio e Oliver si fermano in piazza, comprano sigarette e fumando camminano, in senso opposto, attorno al monumento. Elio trova il coraggio di dire a Oliver che, malgrado ciò che gli altri pensano, sa molto poco delle cose importanti.
Ad Aciman c’erano voluti due giorni e cinque pagine per cogliere la diffidenza di quel dialogo. Guadagnino la concentra in pochi minuti. Il messaggio per lo scrittore è chiaro. Dove un’alzata di spalle, uno sguardo o una pausa nervosa fra due parole possono svelare il cuore, il cinema taglia. La prosa ha invece bisogno di tempo e spazio sulla pagina. “Il fatto è che non posso scrivere il silenzio. Non posso misurare le pause, i respiri e l’inafferrabile linguaggio del corpo”. Dove le parole finiscono, non restano che le immagini.
Daniela Gross
(8 marzo 2018)