…odio
“Nell’Italia gioconda d’oggi, per fascismo la morte non la rischia nessuno, se non qualche immigrato, […]”.
Forse Mattia Feltri nel suo Buongiorno sulla Stampa della scorsa settimana non voleva scrivere esattamente questo, e se qualcuno glielo facesse notare basterebbe la solita smentita per dichiarare di essere stato “mal interpretato”, tanto le parole non hanno più rilevanza né significato. In fondo poi, si tratta di un’affermazione in linea con il pensiero soggiacente di molti discorsi quotidiani dove “se l’obiettivo non sono io ma gli altri, perché mai la cosa dovrebbe interessarmi o intimorirmi?”. Sostanzialmente la pensavano con lo stesso disinteresse anche molti tedeschi o italiani ariani negli anni ’40 del secolo scorso, o penso troppo in continuazione al passato? Oggi non c’è nessun genocidio in corso, se qualche “irregolare” sarà espulso verrà spedito al massimo nei campi di prigionia in Libia, e chi si è visto, si è visto. La Libia del resto è un po’ come Marte, da qualche parte c’è ma fortunatamente non la vediamo, se non in TV.
Elad Nehorai, un blogger statunitense con un retaggio Chabad, in riferimento all’America dove ha vinto Donald Trump, l’ha definita “philosophy of selfishness”, sostenendo inoltre che secondo tale mentalità “il nostro presunto buon vivere non potrebbe altrimenti realizzarsi in contemporanea col benessere altrui”. La sofferenza dell’altro poi è più fastidiosa della nostra proprio perché la ricorda, o meglio riporta alla mente l’inevitabilità che il mondo non è tutto rose e fiori, la povertà, la morte e le guerre esistono realmente, e che non dappertutto vige il nostro stesso stile di vita. Così andare a fare la spesa e incontrare il venditore ambulante che insiste per un euro del carrello, o imbattersi nei suoi simili durante una cena con gli amici, potrebbe rovinarci seriamente lo stato d’animo, è preferibile non vedere, non sapere, se qualche politico riuscisse a farli “evaporare”, meglio, tolto il disturbo dalla vista, se no perché non pensare a dei quartieri-fortino, o sopraelevati come nella Metropolis di Fritz Lang?
Intanto possiamo cominciare a difendere finalmente i nostri confini.
Il motto della passata campagna elettorale è ormai sempre il solito “prima noi di loro”. Un “noi” poco chiaro, equivoco, e con possibilità di ridefinizione nel tempo, visto che i regimi totalitari nella storia hanno insegnato che chi non è un nemico oggi lo potrà essere benissimo domani. In ogni caso, di questo “noi” possiamo restar tutti quanti tranquilli, come in parecchi hanno commentato il pericolo neofascista non è stato altro che lo “spauracchio” dei buonisti, CasaPound ha preso meno dell’1% alle ultime elezioni politiche, sì è vero qualcuno in campagna elettorale ha alzato un po’ troppo i toni, parole forti e aggressive come “pulizia”, “razza bianca”, “fuori gli invasori”, etc… ma ci sono state naturalmente le smentite, e poi in fondo è quello che pensa un po’ chiunque, e cosa dovrebbe fare allora un politico se non imitare la “gente comune” e cogliere i suoi umori? Max Weber parlava di “etica della responsabilità” come un presupposto dell’agire politico – concetto ripreso anche da Hans Jonas per l’azione umana in generale nella considerazione delle prospettive umane future -, valutare dunque le conseguenze che una parola o un’azione può avere nella società e nel cittadino più sprovveduto. Dove è finita (se ci fosse mai stata) questa etica ai giorni nostri?
Nel frattempo a Firenze un pensionato ha ucciso un uomo senegalese con sei colpi di pistola. Certo non si è trattato di razzismo, come appurarlo poi? L’omicida non aveva il “Mein Kampf” sul comodino, o almeno non era tra le sue letture preferite. Quando lo scorso aprile fu uccisa nel sobborgo parigino di Belleville, Sarah Halimi, anche la Procura di Parigi ha chiarito che l’antisemitismo in questo omicidio non c’entrasse niente. In entrambi i casi si sarebbe trattato del gesto del solito malato di mente con i propri problemi personali. Ma quanto può influire, anche e soprattutto a livello inconscio, l’odio e il razzismo che respiriamo quotidianamente sui social networks e nell’aria in questa Europa gioconda? Quanto ancora inciderà su di “noi” negli anni a venire?
Francesco Moises Bassano
(9 marzo 2018)