MEMORIA Zdenka, che non smise di sperare
Zdenka Fantlová / 6 CAMPI / tre60
Quando i tedeschi occupano la Boemia e la Moravia, nel marzo 1939, Zdenka Fantlová ha 17 anni. Ebrea, tre anni dopo viene deportata insieme a sua madre e a sua sorella Lydia a Terezin, il campo di concentramento a nord–ovest di Praga, “anticamera” dei campi di sterminio, tristemente noto per l’altissimo numero di bambini che vi furono imprigionati, insieme ai migliori intellettuali e artisti ebrei d’Europa. Suo padre sarà invece internato a Buchenwald, da dove non farà ritorno.
Nel 1944 le tre donne vengono trasferite ad Auschwitz, dove la madre non sopravvivrà. Zdenka e Lydia sono costrette a spostarsi di campo in campo, a Kurzbach, a Gross–Rosen, e poi ancora a Mauthausen e a Bergen–Belsen, tra violenze di ogni tipo. Solo Zdenka sopravvivrà.
L’intero viaggio negli inferi è ricostruito con esattezza dall’autrice che, oggi ultranovantenne, ha raccolto le sue dolorose memorie, dalla deportazione alle “marce della morte” alla liberazione e al successivo ritorno alla vita, nel libro-testimonianza “Sei campi – L’incredibile storia di una delle ultime testimoni viventi della Shoah”, pubblicato nella traduzione di Ilaria Katerinov per Tre60 editore. Con un linguaggio giornalistico, immediato e senza fronzoli, Zdenka Fantlová descrive quanto visto e vissuto, riuscendo a lasciare al lettore un incredibile messaggio positivo, di speranza e di fiducia nella vita, nonostante le sofferenze patite.
Speranza che Zdenka, liberata dagli inglesi, ricercò tenacemente dopo la guerra, quando, rimasta completamente sola al mondo, si trasferì in Australia, dove ricostruì la sua esistenza da zero, diventando un’attrice e calcando le scene teatrali con discreto successo. Una passione nata proprio durante l’internamento a Terezin, campo che era diventato un vero e proprio specchietto per le allodole della galassia concetrazionaria nazista, utilizzato anche a scopo di propaganda, e dove Zdenka aveva partecipato agli spettacoli allestiti dal drammaturgo Arnost Lustig.
Trasferitasi poi a Londra, ebbe una figlia e due nipoti, e una esistenza piena, agiata e soddisfacente. Ha affermato in una intervista: “la vita è stata molto generosa con me”. Nonostante Auschwitz, nonostante la perdita dell’intera famiglia e del suo amore di gioventù, Arno, anche lui ucciso nei campi.
È tutt’oggi impegnata a portare la sua testimonianza in giro per il mondo, affinché ciò che ha vissuto non sia dimenticato, per trasmetterne la conoscenza alle giovani generazioni.
Marco Di Porto