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La questione settentrionale
Le elezioni hanno posto all’ordine del giorno anche una questione settentrionale. Non le richieste affannose del reddito di cittadinanza, che si sono viste al sud. È la parola “lavoro” che ha perso la funzione etica di un tempo. Questa settimana ho rivisto un vecchio amico che vive nei paesi del nord Europa; il Welfare lo conosce per diretta esperienza e così, scherzando, ma non troppo, anzi, con quel filo di perfidia tipico di chi da tempo, senza pentirsene, si è allontanato dall’Italia, mi ha confidato che quando in campagna elettorale sentiva Salvini urlare “Aboliremo la Fornero!” gli sembrava che dicesse “Abbasso la squola!”. Sia ben chiaro. Nessuno pensa che la legge Fornero sia una meraviglia: splende per le sue contraddizioni, ma chiederne l’abolizione tout court è sogno di Bengodi, ogni politico serio dovrebbe saperlo.
Il nord ebraico ha offerto al neonato stato italiano esempi straordinari di attaccamento al lavoro, da Levi teorizzato nella “Chiave a stella”. Ve li vedete Faussone o Marcovaldo difendere le baby pensioni o ricorrere all’Ape social? Gli esempi più significativi risalgono al riformismo socialista d’inizio novecento: Camillo e poi Adriano Olivetti ad Ivrea, le scuole professionali seminate da ebrei in tutta la Padania. La Società Umanitaria di Augusto Osimo ne sosteneva parecchie. Alzerebbe gli occhi al cielo, la buonanima di Osimo di fronte alla “alternanza scuola-lavoro”. Una legge giusta, sia ben chiaro, diventata una babele burocratica, che si crogiola nella retorica del “saper fare”, ma ha perso ogni contatto con il reale significato della parola “lavoro”.
Alberto Cavaglion
(21 marzo 2018)